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Compositore, avanguardista, etnomusicologo, precursore dell’ambient, produttore: durante la sua trentennale carriera, Hector Zazou si è visto definire in milioni di modi diversi, con etichette che tuttavia non riescono ad esaurire la complessità del personaggio in questione. Conosciuto ai più per aver prodotto il debutto dei PGR, da un paio d’anni il musicista francese ha trovato casa in Italia, realizzando due album “fratelli”, e quasi contemporanei, il buon “Strong currents” e questo “L’absence” che lascia l’amaro in bocca.
Da un personaggio del genere, sempre teso alla ricerca e alla sonorità nuova, pronto a spingere oltre il possibile del suono contaminato, ci si aspetta tutto meno che un album leccato, preciso ed esangue come questo. Vengono messi in campo Proust, “Il Capitale” di Marx, perfino Asia Argento che rifà Brigitte Bardot nella prima scena de “Il disprezzo” di Godard: un dispiegamento concettuale esageratamente alto e dispersivo, se abbinato a musiche innocue come queste.
L’intenzione dichiarata era di fare un album easy listening, d’accordo; svuotare la musica, cancellarne le asperità. Un intento legittimo, sia chiaro; ma più che rilassamento, è la noia a fare capolino dopo appena tre brani. Le voci sono aggraziate, pulite, ma non sembrano avere nemmeno un filo d’anima, e si limitano al compitino, senza aggiungere niente ai brani; uniche eccezioni sono la bella “Eye spy” (gioco sottilmente perverso e maniacale affidato a Lucrezia von Berger, chitarra acustica appoggiata a una ritmica drum ‘n bass) e “Elle est si belle”, in cui per la prima volta dopo anni Zazou torna a usare una vocalità maschile (in questo caso è il francese Edo).
Impegno concettuale appoggiato su musiche risapute e inconsistenti; piuttosto che questa pallida copia, mille volte meglio gli originali, vale a dire un qualsiasi disco di Kruder & Dorfmeister, o “Protection” dei Massive Attack.