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Cristiano Godano, voce e chitarra dei Marlene Kuntz, l’ha definito un disco di non transizione. Nessuna transizione quindi fra “Senza Peso”, l’ultimo disco che è riuscito come sempre a dividere i seguaci del quartetto cuneese, e il prossimo album che dovrebbe invece uscire per l’inizio del 2005. Ci si chiede quindi quale sia il ruolo di questo EP, intrattenimento, trovata commerciale o progetto sperimentale?
Il titolo sembrerebbe dire molto, ma in realtà è solo riconducibile al titolo dell’unico brano dell’EP già noto, la disincantata “Fingendo la poesia”, brano di “Senza Peso” forse un po’ sottovalutato (anche nelle scalette live dell’ultimo tour). 6 brani per quasi mezzora di musica fra cui due cover illustri, “Non Gioco Più” di Mina e “Alle Prese Con Una Verde Milonga” di Paolo Conte, artisti apparentemente lontani anni luce dalle influenze oltre che dal genere del gruppo. La prima reazione potrebbe far storcere il naso a chi li ha sempre considerati come la via italiana ai Sonic Youth, ma è proprio in questi due brani che si rivela la nuova sfida dei Marlene. Riarrangiare due classici della musica italiana senza strafare nè alterarne le atmosfere.
Gli ammalianti intrecci delle chitarre e la calda voce di Godano riescono ad adattarsi con esiti sorprendenti al blues di “Non Gioco Più” e alle andature quasi caraibiche del brano di Conte. Il resto dell’album è in pieno stile Marlene. Due spore (i brani strumentali peculiari della band) registrate dal vivo, “Prima” e “Poi” che rispettivamente aprono e chiudono il disco. La prima si rivela di fatto un breve preludio fatto di dissolvenze non privi dell’impronta noise dei Marlene, la seconda una suggestiva improvvisazione guidata da un inusuale pianoforte, accompagnato dai soliti effetti fra corde graffiate e colpi sul retro-tastiera delle chitarre.
Il pezzo forte del disco resta “Il vortice”. Cristiano, con un testo come al solito molto ermetico (“Essere vibrazione attiva di un vortice assoluto; partecipare ai fervori di un’effervescenza irriducibile, per condurre i miei sensi all’apogeo e per liberare il mio corpo dalle occlusioni mentali e reali”), ricercato nei suoni delle parole oltre che nel lessico, si cimenta in ciò che gente come Lou Reed e Nick Cave ha realizzato nel rock con ottimi risultati, il monologo. Non un reading come tanti, noioso e forzato, ma un’interpretazione davvero coinvolgente unita ad un’originalissima base ritmica che esplode seppur in toni sommessi nel finale. Il suono, in linea con gli standard di eleganza e raffinatezza dei Marlene Kuntz, tocca vette difficilmente raggiungibili da un qualsiasi gruppo italiano.
Un mini-album davvero valido per una non-transizione che dà ulteriori speranze al futuro del rock nostrano.