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Premessa: Arezzo Wave è una gran bella cosa. Svolgimento: come si fa (sottofondo di violini 🙂 a non voler bene ad un festival che da 18 anni riempie una città di concerti gratuiti, di appuntamenti letterari e di contaminazione (per dirne una: sabato pomeriggio 10 luglio – ma qui si entra nella lista delle occasioni perdute che sarà ripresa più in là – mi sono perso Luis Sepulveda insieme ad Emidio Clementi al Word Stage), teatro, cabaret, corti e via così. Che piaccia o no il programma delle singole giornate Arezzo Wave è un festival a cui vale sempre la pena venire. E noi siamo venuti, anche se per poche ore, a vedere il festival che diventa maggiorenne e festeggia la fine dell’Apartheid in Sud Africa e i dieci anni di Emergency e rende omaggio alla scomparsa – sempre dieci anni fa – di Charles Bukowski e Frank Zappa.
Pieno di metano. Tenda. Si parte. La mia guida prudente fa dormire Monica che si accascia sul sedile passeggero e ad ogni auto che mi sorpassa mi ricorda che i Giardini di Mirò suoneranno alle cinque e mezza. Non vedremo né il sestetto reggiano e nemmeno Paolo Benvegnù, dopo di loro sullo Psycho Stage. Soprattutto per le code prima di Firenze non ci vedranno allo Stadio Franchi prima delle 11 quando tocca ai Groove Armada, suoni impeccabili ma troppo di maniera per le mie orecchie. Ritmi disco anni ’70 che invece di farmi scuotere la testa mi lasciano lì ad ascoltare la pulizia dei suoni, la precisione dei passaggi e ad osservare la chioma della vocalist Celetia Martin. Sul palco sono in cinque (chitarre, basso, batteria, synth) e rispetto alle produzioni in studio i Groove Armada arriva con sonorità decisamente più corpose e rock. Il richiamo dell’elettronica scende a compromessi con gli strumenti tradizionali lasciando aperti varchi per la sovrapposizione di funky, disco, rock, jazz e hip hop.
Cosa sia successo tra Groove Armada e pubblico dopo la prima mezz’ora di concerto non possiamo dirlo perché si decide di puntare verso il Centro Affari dove per Elettrowave c’erano i Telefon Tel Aviv. Inizio previsto l’una meno un quarto. La prima navetta dallo Stadio al Centro Affari parte all’una. Saliamo allora sulla tangenziale e ce la facciamo a piedi fino al Business Centre. Non avevo fatto in tempo a recuperare il pass e senza si pagano cinque euro. Lo so, c’è da vergognarsi a farsi compatire per cinque euro ma trovo una patacca gialla con scritto artist bla bla e decido che se qualcuno mi ferma e mi chiede qualcosa io sono il batterista dei Giardini di Mirò. Invece il tipo all’ingresso non mi chiede nulla, mi indica solo la cassa. Il tempo di rendersi conto di come anche un set elettronico possa ribaltare l’idea che ti sei fatto di una formazione (nel caso del suo statunitense: costruttori di trame sottili nell’ultimo “Map Of What Is Effortless”, fragorosi ed ipnotizzanti dal vivo) che Joshua Eustis e Charles Cooper chiudono i loro mac e lasciano il posto a Louie Vega. Peccato, ci stavamo facendo coinvolgere dall’aria che si respirava. Tutti seduti in silenzio a mettersi nelle orecchie i suoni e nella testa i video mixati sui due schermi.
La navetta delle tre ci riporta al campeggio di Arezzo Wave, gestito quest’anno per la prima volta dal comune. Ma, come l’anno scorso, finiamo per montare la tenda in mezzo a gente che ci guarda come se avessimo sbagliato qualcosa. Siamo ad un rave (stop ai violini in sottofondo) e giganteschi soundsystem segnano il tempo. Qui nessuno è venuto per seguire Arezzo Wave, tranne noi. Altra navetta verso il centro. Alla ricerca di un bicchiere di vino si scopre che un quartetto con voce femminile sta suonando all’incrocio di un paio di locali nel cuore di Arezzo (forse l’inizio di un abbraccio più stretto tra la città e il suo festival come accade coi Buskers a Ferrara?).
Sabato mattina. Mi si apre una porta ed entro in una stanza dove sta parlando Luis Sepulveda (non è un sogno indotto dall’alcool, è una conferenza stampa). Mauro Valenti gli chiede di entrare nel comitato di garanzia della Fondazione Arezzo Wave Italia, lui accetta (applausi). Poi l’autore latinoamericano risponde ad una domanda sul book-crossing. “E’ un’idea fantastica, è un modo di espandere la letteratura e di contribuire alla diffusione della lettura – Sepulveda è favorevole ai libri lasciati in giro alla ricerca del loro prossimo lettore – dopo dieci anni di questo fantastico gioco le città saranno piene di libri”.
Altro pieno di metano. Tenda arrotolata. Si va via da Arezzo, dobbiamo andare a vedere i Blonde Redhead a Senigallia, spiace perdersi questo sabato che festeggerà i 10 anni dalla fine dell’apartheid e – anche se riusciremo a farci una ragione di non aver visto Piero Pelù – la festa di chiusura per Emergency di domenica. Vabbè, mettiamo su “Misery Is A Butterfly” e partiamo. L’anno prossimo staremo di più (violini in sottofondo, crescendo, titoli di coda).
Visto ad Arezzo Wave:
– Silvia dell’ufficio stampa (“sei arrivato alle undici di sera e parti domattinaaaa!?!?!”)
– i Groove Armada
– la corsia d’emergenza della tangenziale
– i Telefon Tel Aviv
– il panino con la salsiccia al bar vicino al centro affari
– gli affreschi restaurati di Piero della Francesca nella Chiesa di San Francesco
– Luis Sepulveda nella conferenza stampa insieme a Mauro Valenti
Le occasioni perdute ad Arezzo Wave venerdì 9 e sabato 10 luglio:
– gli Inlimine
– i Giardini di Mirò
– Paolo Benvegnù
– Sepulveda e Clementi al Word Stage
– il buffet sudafricano al centro giovani
– l’Orchestra di Piazza Vittorio
– Lillo e Greg al Cabawave
(Luca Vecchi)