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Il mondo musicale che ci stiamo apprestando a vivere racchiuderà in sé tutte le possibile deformazioni di un mondo che dilata in maniera sempre più dichiarata le proprie radici culturali, alla ricerca della fusione tra il meticcio tipico della società contemporanea (globalizzata o comunque sezionata analizzata e metabolizzata) e gli archetipi culturali.
Miriam Goldberg e Jeffrey Alexander sono i Black Forest/Black Sea, dividono insieme la vita e le esperienze musicali e sono uno degli esempi più ricorrenti quando si arriva a tracciare un diagramma onnicomprensivo della “nuova” scena musicale folk. Jeffrey Alexander arriva dall’esperienza degli Iditarot, band pressoché sconosciuta in Italia eppure seminale per tutta quella gioiosa tribù che oggi ricerca nuove vie al folk, mentre Miriam viene da accademici studi di violoncello “da camera”.
“Forcefields and Constellations” è il loro secondo lavoro dopo l’esordio omonimo e presenta fin dal maiuscolo incipit di “Orion” una personale via alla ricerca antropologico/musicale: suoni liquidi, carichi di riverberi, appena accennati, totalmente impossibilitati a definirsi come melodia tout court. Dopotutto il senso dell’intera operazione sonora è esplicitato fin dal nome della band: Black Forest/Black Sea non solo rimanda al contrasto tra cultura mitteleuropea e euro-asiatica, ma rimarca anche la necessità di trovare un punto di contatto tra la terrena materialità della foresta e l’ambigua trasparenza dell’acqua (specchio, dunque entità non prettamente tangibile).
Una musica dunque che viva nell’incastro tra urgenze istintive, animali e riflessi mistici, quasi cosmici nella loro inafferrabilità. Questa fusione raggiunge l’apice in “Nylon” dove la chitarra segue arpeggi indie-rock (per quanto riprodotti in acustico) sovrastata da riverberi organistici. Ascoltando la nenia ovattata “These Things” sembra di essere di fronte ad una nuova corrente mistica, nella quale animismo e panteismo si mescolano alla ricerca di una spiritualità totale. I BF/BS si divertono a giocare con la loro cerchia di amici, così da riproporre in “Kyy Plays Perpetual Change” un sample tratto da “Lammikko” di Kemialliset Ystavat, o da ospitare la chitarra di Christina Carter in due brani posti simbolicamente ad apertura e chiusura della cavalcata musicale.
In “F vs. BF/BS” si presenta una divert(ita)ente sfida tra il duo e Fursaxa, sorta di Nico in miniatura, raro folletto musicale. Le registrazioni sono live, ritoccate corrette e remixate in fase di post-produzione: questo attaccamento all’aspetto vivo della musica permette di far confluire nel lavoro compiuto una notevole dose di improvvisazione, arte che Jeffrey e Miriam dimostrano di preferire al di sopra delle altre (e ne hanno dato notevole dimostrazione nella loro esibizione romana alla Locanda Atlantide). In “Hung Far Lowish” il violoncello irrompe con tutta la sua dolente malinconia europea, “The Last Night in Troy” presenta ipotesi rumoriste e cacofonie che riportano agli avanguardisti classici del secondo novecento.
In definitiva l’ascolto di quest’album suona come lo scontro frontale fra le bizzarrie dei Pearls Before Swine e le derive elettronico-rumoriste degli ultimi tre decenni. Ascoltando i Black Forest/Black Sea si finisce per dimenticare che l’uomo è ospite di questo maledetto mondo dal tempo dei tempi, tutto si mescola, tutto si amalgama, come in “Tangent Universe”, nuovo fondamentale ossimoro. “Forcefields and Constellations” è un album splendido, di cui si è parlato davvero troppo poco.