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L’ascolto dell’ultima fatica di quello che non ho difficoltà a definire il più importante gruppo musicale degli anni ’80 è aiutato non poco dal titolo stesso dell’opera: in esso è racchiusa infatti l’autodeterminazione di un corpo malato. Scherzi a parte, è evidente come “Sonic Nurse” funga da metafora del mondo circostante, o meglio della società statunitense/mondo. Scelta non nuova per Moore e compagnia, basta pensare al significato profondo di un titolo come “Daydream Nation”.
Eppure è impossibile non immaginare i Sonic Youth di questo lavoro come un corpo debilitato, minato dall’unica malattia che per un musicista può realmente risultare mortale: l’assoluta, devastante mancanza di idee. Laddove “Murray Street” aveva presentato un bilanciamento fra l’irruenza tipica degli anni ’80 e il flusso sonoro del decennio successivo qui ci troviamo di fronte a una serie infinita di reiterazioni. I Sonic Youth che arrivano sempre agli stessi risultati costruendosi pezzo per pezzo come un puzzle, senza neanche cercare di cambiare l’ordine dei tasselli, specchio che riflette sempre la stessa immagine.
Non mi era mai capitato di interpretare le scelte sonore dei cinque (impossibile e ingiusto oramai definirli quattro + Jim O’Rourke) come un’arteriosclerotica fossilizzazione prematura, ma di fronte alla pochezza strutturale di “Pattern Recognition” o “Unmade Bed” è doveroso iniziare a porsi dei dubbi sulla validità attuale della band. Un incidente di percorso, si dirà, e se è giusto per i principianti sospendere il giudizio mi si consentirà di farlo anche e soprattutto nei confronti di una band che ha dato così tanto alla musica contemporanea.
E’ altresì arduo, ascoltando il rumore “ovvio” che fa da sottofondo a “Dripping Dream” e il cantato prevedibile tanto di Moore quanto di Ranaldo (interessante notare poi come i due giochino ad imitarsi, rendendo difficile distinguere le parti vocali), non lasciarsi convincere dall’idea che in fin dei conti i Nostri si siano semplicemente adagiati nel manierismo più trito. Non sarebbero di certo i primi, e non saranno di certo gli ultimi: mancanza di idee = riproposizione acritica del passato recente è un assioma vecchio come il cucco. Dispiace però non riuscire a capire le motivazioni di una scelta simile. I Sonic Youth hanno dimostrato in passato di non aver fretta di buttare nuova carne al fuoco – soprattutto nelle uscite “ufficiali” per la Geffen – e di non amare le cosiddette produzioni alimentari. Fatto sta che i primi brani sono quanto di più piatto e noioso i cinque abbiano MAI prodotto, tanto che la loro presenza nel lettore cd è quasi insostenibile e bisogna sforzarsi per riuscire ad arrivare alla fine delle canzoni.
Fortunatamente qualcosa da salvare c’è: innanzitutto il crescendo rumoroso e cupo di “New Hampshire”, serrato, ossessivo, assolutamente privo di mediazioni, con le chitarre che tornano a farsi corpose, distorte, sporche. Lontane dal fluire inconscio che sembrava aver preso definitivamente il sopravvento da alcuni anni a questa parte. Sulla stessa lunghezza d’onda il dipanarsi angoscioso di “Paper Cup Exit”, dal ritornello trascinante, e l’elegia per riverbero di “I Love You Golden Blue”, che perde consistenza comunque nella parte centrale. Chiude il tutto l’attacco alla politica di Bush alla base di “Peace Attack”, coerente con le azioni portate avanti negli ultimi anni dalla band e in particolare da Thurston Moore, conscio dell’importanza di “scegliersi la parte” e allo stesso tempo di non approfittare della propria posizione sociale per fare della facile morale (cosa che sarebbe ora che capisse Bono Vox).
A parte queste poche eccezioni “Sonic Nurse” è un album da dimenticare completamente, perché i Sonic Youth non sono dei vecchi rimbecilliti, e lo sappiamo tutti. Aspetteremo con pazienza che vogliano renderci partecipi di altre scintillanti avventure musicali, sicuri che la prossima volta non sbaglieranno colpo.