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Subito dopo la pubblicazione di “Idlewild South”, secondo album della band di Macon, Duane Allman aveva dichiarato di sentirsi frustrato per l’impossibilità, sua e degli altri, di esprimere in studio ciò che normalmente si riusciva a tirar fuori nelle performance dal vivo, già allora indiscusso punto di forza del gruppo, aggiungendo questa postilla: “Il nostro prossimo album sarà…live!”.
I fatti dimostrano che Duane aveva ragione: “At Fillmore East”, allora come oggi, è un’autentica bomba sonora, un manuale su cui molti gruppi hanno studiato e continuano a studiare. In questo doppio album (poi CD singolo, infine CD doppio nella recente “Deluxe Edition”) si concentrano e si fondono tutti gli elementi caratteristici delle performance degli Allman: blues, jam, improvvisazione selvaggia (provate ad ascoltare “Mountain Jam” o “Whipping Post” per credere), innovazione pur nel rispetto delle canoniche 12 battute della “musica del diavolo”.
Pare davvero impossibile trovare punti deboli in un album che gira a mille per tutta la sua durata; Duane e la sua slide sono letteralmente scatenati, ma anche gli altri sfoderano una prestazione davvero eccellente: basterebbe citare il grande lavoro chitarristico di Dickey Betts nella sua “In Memory Of Elizabeth Reed”, che trova qui la sua versione definitiva, per provare quanto appena detto, ma sarebbe assolutamente ingiusto scordarsi di Gregg Allman, che con la sua voce calda e il suo organo Hammond arricchisce in modo decisivo brani come “Statesboro Blues”, “Stormy Monday” e “Done Somebody Wrong” (gli ultimi due impreziositi ulteriormente dai ricami armonicistici di Thom Doucette), o ancora tralasciare Butch Trucks e Jaimoe, che nel bel mezzo di “Mountain Jam” salgono alla ribalta con le loro percussioni, e infine lasciare da parte il bassista Berry Oakley, vero motore ritmico del gruppo, che proprio sul palco si dimostra imprescindibile per gli equilibri generali della band.
Ovviamente è impossibile offrire qui una disamina completa di ogni singolo brano presente su disco, ma è fuor di dubbio che “At Fillmore East”, oltre ad essere il punto più alto toccato dagli Allman (insieme forse al successivo “Eat A Peach”), sia uno degli album che hanno davvero fatto la storia della musica, intesa nella sua accezione più ampia, e anche un punto di riferimento per qualsiasi band che abbia pubblicato un live dopo il 1971 (basti pensare ai Lynyrd Skynyrd). Una menzione speciale, infine, per “You Don’t Love Me”, 19 minuti e mezzo in cui Duane Allman concentra per davvero tutta la sua arte di improvvisatore, partendo da un pur ottimo blues-boogie per poi lanciarsi a capofitto nelle sue scorribande solistiche, da solo o in compagnia di Betts e soci.