Share This Article
La prima edizione del “Gong progressive rock festival” ha fatto segnare un confortante successo: è dunque lecito ben sperare per il futuro, auspicando magari la presenza di band ogni anno diverse e di diversa provenienza. Iniziato alle 16.00 sotto il solleone e terminato intorno alla mezzanotte, il festival reggiano ha visto sei gruppi progressivi della provincia alternarsi sul palco allestito nella appropriata cornice agreste dell’agriturismo “La razza”, in una sorta di conca-teatro naturale.
Aprono Master Experience e Trama Sonora: davvero bravi questi ultimi, ed equilibratissimi, nel melange di trame melodiche e momenti strumentali più aggressivi, nel dialogo serrato fra chitarra e tastiere.
Seguono a ruota i Sequencer (Roberto Magnani voce, Massimo Morini basso, Paolo Gargalli tastiere, Claudio Tirelli batteria, Cristian Cavazzoni chitarre, Deborah Corbelli flauto e backing vocals), tribute band dei Genesis che riproduce pari pari “Genesis Live” del ’73, vale a dire l’unica registrazione ufficiale dal vivo dell’epoca Gabriel prima dell’uscita di “Genesis Archive” del 1998. Sono ancora ben vive nella memoria di molti le impressioni dei due famosi concerti reggiani dei Genesis: il primo, il 12 aprile 1972, in occasione del “Nursery Cryme Tour” (concerto ben noto ai fan, soprattutto perché durante le prove nacque l’introduzione al mellotron e Hammond della imminente “Watcher Of The Skies”); il secondo, il 20 gennaio 1973, con il Palasport stipato all’inverosimile per ascoltare anche i nuovi brani di “Foxtrot” ed assistere alla performance teatrale di Gabriel. La coverband reggiana si dimostra nel complesso adeguata al compito (camuffamenti alla Gabriel compresi, nella foto), con qualche perdonabile sbavatura alla chitarra e un finale di “The Return Of The Giant Hogweed” un po’ fiacco. Rimane – come sempre in questi casi – il dubbio amletico (forse un po’ capzioso): non sarebbe forse più opportuno cercare di reinterpretare i brani storici, piuttosto che riprodurli pedissequamente con il rischio di perdere del tutto la propria identità?
Dopo la “pausa cena” si riprende con gli Arcanoise (Samuel Bonaiuti chitarre, Andrea Barbarossa basso, Andrea Gozzi sint, Stefano Tanzi voce), autori di un new prog molto strumentale, dalle sonorità sintetiche alla lunga un po’ pletoriche e uniformi. Contribuisce all’effetto anche la sezione di batteria preregistrata che, ad un fan del prog, provoca più o meno l’effetto di una pizza all’americana piazzata davanti ad un purista della napoletana. Invitiamo pertanto i bravi strumentisti ad affrettare il reperimento di un altrettanto bravo batterista.
Sui F.O.G., trio tributo di Emerson Lake & Palmer, occorre fare un paio di osservazioni. La prima è che sono realmente bravissimi, anzi impressionanti: praticamente identici all’originale. Se non avete mai visto il trio inglese dal vivo (e non sono in vista reunion…) i F.O.G. sono un’ottima maniera per rimediare. La seconda è che, dotati come sono di una tecnica elevatissima (Gianluca Tagliavini e Fausto Carcione hanno suonato nel 2003 con Carl Palmer al Momà di Reggio Emilia), ci piacerebbe sentirli all’opera con produzione propria.
Chiudono la kermesse reggiana i Mangala Vallis, band emergente capitanata da Gigi Cavalli Cocchi (già batterista di Ligabue e dei C.S.I.), che propone i brani del primo album “The Book Of Dreams” (un concept ispirato alle opere di Jules Verne), cantati da Fabio Mora dei Rio (il quale tuttavia non canta nel nuovo album, in corso di incisione con la partecipazione di Bernardo Lanzetti). Anche in questo caso ottima tecnica unita all’esperienza. Unica nota stonata, in questa festa della musica, l’aleggiare inquieto e senza posa, sopra il palco, di uno spirito errabondo e intristito: la nostra bella, musicale e trascurata lingua italiana.