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Primo album della ambiziosa band francese formatasi nel 2000 dall’incontro di Etienne Bonhomme, batterista dedicatosi per parecchi anni al jazz, Pierre Fruchard, chitarrista fondatore del collettivo Les Estrangers, e Cédric Leboeuf, anch’egli chitarrista e membro di Les Estrangers.
Dalla fusione di hard, brume psichedeliche, chitarre perlopiù trattate e rivisitazioni pop – tutte caratteristiche al passo coi tempi – esce più che altro un campionamento, un collage, di gradevolezze già sentite: dal non troppo originale riff ripetuto di “Asphalte” agli accordi molto Radiohead di “Morose”, dai toni crimsoniani e relativi esperimenti atmosferici alla Fripp di “Justice Limite” al looping di “Premier Baiser”, l’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un tentativo a vuoto di sottrarsi gli schemi. Il problema è che ai giorni d’oggi, quel che sta apparentemente al di fuori degli schemi è schema esso stesso: e il valore di una composizione risiede più che altro negli elementi intrinseci.
Il disco è indubbiamente ben suonato ma non cattura mai veramente l’ascoltatore: mancano momenti liberatori e passaggi chiave, mentre predomina un’atmosfera pesante e un po’ claustrofobica. Il momento forse migliore, il finale di “Mylène”, più arioso e orchestrale, arriva proprio in conclusione e non ce ne accorgiamo quasi.
Abilmente mascherato, il principio informatore di questa musica è sostanzialmente la tecnica del looping, della ripetizione (e, nei risultati migliori, della abile variazione) di identici accordi e frasi musicali. Abbiamo già avuto modo di parlare di questa tecnica a proposito di un disco assolutamente radicale come “Transcollaboration” del duo Re:Cooperation. Mentre in quest’ultimo lavoro la tecnica produce risultati davvero inattesi di freschezza, con spunti melodici spesso davvero riusciti, atmosfere variate e mutevoli, in “Haut/Bas” essa viene utilizzata più occultamente e troppo rigidamente, meccanicamente: e i su menzionati accenni hard certo non aiutano. È indubbio che si rimanga un po’ delusi, a bocca asciutta, dalla sostanziale mancanza di dinamica e di sviluppo melodico di pezzi come “Asphalte” o (in buona parte) “Oui, Madame”. L’unico brano dove sia rintracciabile una efficace forma di crescendo e di modulazione melodica è la già citata “Mylène”.
Dunque, gradevolezza sì, ma poco più, in attesa dalla imminente seconda fatica del trio.