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Take me away, take me away. Portami via. É una richiesta disperata, ossessiva, che ricorre in ogni canzone di questo disco, quella che filtra dalle parole degli One Dimensional Man. E il loro suono asseconda questa domanda, deviando con ancora più decisione dai clichè noise – blues che animavano i loro primi lavori, in continuità con i segnali già presenti in “You kill me”.
Si sono ampliati i loro ascolti, forse, ma questo spostamento di prospettiva si deve soprattutto all’arrivo di un nuovo chitarrista, Carlo Veneziano, estroso e con una personalità già definita: gli angoli vengono smussati, e la musica, pur sempre incalzante e non incline a compromessi, viene lavorata con più classe, con una varietà stilistica maggiore.
C’è chi dirà che con questo disco il trio si è normalizzato, ed è vero; ma è molto meglio così, che continuare sulle strade già percorse di un suono che sta diventando clichè. E allora ben vengano gli inserti pianistici quasi boogie su una batteria stordente che apre il disco (“Fool world”), le strizzate d’occhio a un roots rock mai così presente (“Tell me Marie”), la fluidità melodica di “5 square yards” (uno dei pezzi migliori del disco); ben venga perfino la suadente “Mad at me”, con un raffinatissimo arpeggio jazzato.
Cose che non ci saremmo mai aspettati dagli ODM, per come ci hanno abituato all’assalto feroce e schizoide; di questa indole il trio non si dimentica di certo, offrendone prove soprattutto verso la fine dei solchi, con una title-track che continua a prendere direzioni imprevedibili, e soprattutto con il rumore bianco, violentissimo, della conclusiva “Big deal”.
Di fronte a questo suono, come sempre, le parole finiscono per passare inosservate, ed è un peccato, perché la capacità compositiva di Pierpaolo Capovilla migliora ad ogni album: abilissimo a instillare un’inquietudine venata di follia nelle liriche, qui allarga ulteriormente i temi trattati, passando da un monologo irreale con una persona che ha perso la vita (“Tell me Marie”) a una toccante lettera d’amore e di perdono (“Mad at me”), fino al ritratto di un’apparente vita perfetta di una moglie assassina (“5 square yards”).
Qualcuno ha storto il naso davanti a “Take me away”, ma i brani più interessanti sono proprio quelli per cui gli One Dimensional Man sono stati criticati; mostrano nuove possibilità, nuove evoluzioni, nuove vie di fuga. E forse era proprio questo che i tre stavano cercando.