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Facciamo una premessa a nostro avviso fondamentale: prendete questo disco per quello che è. Vedrete che andrà tutto molto meglio.
Questo per far capire che non bisogna aspettarsi nulla dai The Thrills – irlandesi innamorati della California che con il debutto “So much for the city” (2003) avevano confezionato un simpatico e godibile tributo al pop americano early seventies – se non quello già ampiamente dimostrato: zucchero… miele… caramelle… melassa… chiamatela come volete, ma la ricetta è sempre quella. E come tutte le volte che ci si cimenta nella preparazione di un dolce, l’unica cosa che si spera è che, seguendo la stessa ricetta, non possa che migliorare il risultato. E’ un po’ l’antico ma sempreverde gioco della pop music. Fissati i canoni e le linee guida, bisogna essere in grado di costruire delle canzoni che regalino il sorriso, che abbiano il mood giusto e che in un modo o nell’altro rimangano in testa.
Detto questo, avete già capito di che pasta è fatto il secondo lavoro dei The Thrills e se non sopportate la spensieratezza dolciastra, la zuccherosa malinconia sentimentale – sì perché non è che se sei una pop star poi ti va bene con le ragazze, alla fine si torna al punto di partenza… un po’ di giustizia no?! – o se soffrite di diabete allora avete il più sacrosanto diritto di stare alla larga da tutto ciò. Non vi biasimiamo. Per tutti quelli che si accontentano di qualche manciata di three minute records senza pretese intellettuali (ci riferiamo ai fanatici del la-la-la o degli impenitenti disimpegnati) e dal sapore così palesemente retrò e lezioso da risultare irresistibile, allora non c’è verso che “Let’s bottle bohemia” non vi affascini. Per chi ama questo genere di musica è impossibile. C’è tutto quello che si richiede e i ragazzi sembrano maturati rispetto al già convincente esordio. Da sottolineare una cura degli arrangiamenti che ha portato all’introduzione di un wall of sound abbastanza accentuato ma mai eccessivamente barocco (scuola spectoriana, ndr) e una chitarra più convincente, carismatica e quindi meno succube della melodia. Melodia comunque presente in gran quantità in quanto figlia della migliore scuola (sempre i soliti… Bacharach… Wilson… Spector… Wainwright… Elton John – sì, lui! – e molti altri).
Tra ballate irresistibili – “Not for all the love in the world” – e singoli che promettono sfaceli – il trascinante(issimo) “Whatever happend to Corey Ham” o “The curse of comfort”, che vedremmo bene come nuovo estratto – i The Thrills si confermano come una fuga ben architettata dal grigiore urbano e dal cinismo di tutti i giorni, perché in fondo, riprendendo quello che dicevano i romantici, la felicità risiede anche nella fuga.