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Sono passati solo pochi mesi da quando incensavo, felicemente sorpreso, “Elementary Watson” l’album di esordio dei Pecksniff. Da allora sono cambiate alcune cose: innanzitutto Stefano Poletti e compagnia si sono accasati con la Black Candy, ridimensionando l’autoproduzione della loro etichetta Merendina. Poi il suono si è fatto più curato ma anche, allo stesso tempo, meno schizoide. Quello che i Pecksniff dimostrano di essere oggi è un buon progetto pop, delicato e raffinato. Ogni tanto a rischio ripetizione, c’è da dire.
L’attacco di “Baby Hurricane” dimostra chiaramente il nuovo interesse della band: un pop sostenuto, cantato a più voci, trascinato ed estremamente melodico. Ogni tanto arrivano dalle retrovie urla, rumori incomprensibili, ma queste freakerie sembrano molto meno abbarbicate alla struttura portante di quanto lo fossero in precedenza. Se questo può effettivamente apparire come un punto a sfavore – dopotutto l’originalità del progetto risiedeva in gran parte nell’uso dei giocattoli come strumenti – c’è da dire che la capacità compositiva si è fatta assai più matura, come palesa proprio il crescendo conclusivo del pezzo d’apertura. Maturità che esplode nello splendido incedere di “Normandy”, esile come un soffio eppure ritmato da improbabili handclap e da gentili stonature degli strumenti: anche qui il crescendo assume un ruolo fondamentale (e quanto appare geniale e dissacrante quel “I Love You” ripetuto ossessivamente da Patrizia Dall’Argine).
Anche gli episodi più trattenuti e intimi, come “The Symphony of Life” (al quale il flauto aggiunge un tono favolistico e in fondo al quale mi sembra di notare una citazione – involontaria? – di “Altrimenti ci arrabbiamo” della coppia Spencer/Hill), mostrano la capacità di deformare con gentilezza la natura ovvia del pop. Purtroppo non tutto suona perfettamente allo stesso livello, e a tratti si fa largo il terribile e odiato “già sentito” (soprattutto un brano come “Dolly Bell” appare francamente non indispensabile), ma non si può non rimanere ammaliati dalla capacità che hanno questi ragazzi di rimanere in bilico tra pop, surrealtà, low fi e rumorismo senza mai cadere.
Delle straordinarie potenzialità di questo combo (che conta la bellezza di 6 membri fissi) devono essersi accorti anche i loro colleghi, se è vero che è possibile ascoltare la voce di D. Saranza dei Morose in “Good Landscape” e di Luca G dei Julie’s Haircut nella conclusiva “We Change the Weather”. Se è vero, come si sente spesso dire in giro, che l’opera seconda è la più difficile da comporre e suonare, allora i Pecksniff possono dichiararsi più che soddisfatti. Il peggio è passato e nessuno se n’è accorto. A distanza di pochi mesi ancora tanti complimenti.