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“13 piccoli singoli radiofonici” è la prima uscita Snowdonia del 2005 e segna la prima prova sulla lunga distanza degli Aidoru (dopo una miriade di split 7” e un ep a distribuzione nazionale). L’opera in questione è, come consolidata tradizione snowdoniana, indefinibile.
Un pentolone in cui si cucina una geniale miscela musicale dove gli estremi si toccano e generano ibridi di senso compiuto in generosi arabeschi ritmici che, senza sfidare il senso cacofonico di certo art.rock senza arte né parte (da leggersi anche Mars Volta, ma solo per fare un esempio), dipingono un disegno sfuocato dove confluiscono musica ambientale (l’opener “90 (La paura)”), groove quasi da discoteca inseriti in un crescendo psichedelico che ricorda la natura degli Stone Roses e la sperimentazione pop radioheadiana (“Io guardo spesso il cielo”) e un senso della melodia che nasce da frammenti dove la melodia rinasce dopo un violento omicidio (“Ossicine”).
Figlio di una sperimentazione in senso lato, generata dalle ceneri di frammenti raccolti dall’esplosione della musica che gli stessi Aidoru hanno ucciso, “13 piccoli singoli radiofonici” traccia delle coordinate difficilmente raggiungibili, in AM, indecifrabili e inspiegabili su basi razionali. Un disco che non segna un punto d’arrivo soltanto perché non esiste partenza. È un disco di speranza nichilista. Che si ripiega su sé stesso per lanciarsi là dove nessuno – in Italia sicuramente, immaginatevi una canzone come “Angelo-Gnomo” a Sanremo o anche nella compilation del Tora! Tora! – ha osato lanciarsi.
Con il senno di poi riusciremo a giudicare quanto, questo piccolo fenomeno indipendente, influirà sulle nuove generazioni. Tanto o poco, ora non ha importanza. Qui ed ora, Anno Domini 2005, il disco ci sembra qualcosa di importante.