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Il terzo lavoro dei L’Altra, ovvero Joseph Costa e Lindsay Anderson, arriva a tre anni di distanza dall’ottimo risultato conseguito con “In the Afternoon”. La stasi catartica che pervade la delicata notte descritta in “Sleepless Night” è la dimostrazione che il mood della band non ha perso per strada le coordinate. Tra riflessioni pianistiche e screziature sintetiche si fa largo la voce della Anderson prima che la musica trovi la forza necessaria per lanciarsi in un’accelerazione.
Nulla di particolarmente nuovo sotto il sole, anzi, ma costruito con una certa perizia. Analisi che non salva comunque un lavoro d’insieme che appare spesso e volentieri troppo ripiegato su se stesso, autocitazionista, abbarbicato alla propria struttura, impossibilitato a volar via come invece vorrebbe metaforizzare il gabbiano immortalato sul retro-copertina. Le linee direttrici della loro musica sono spesso e volentieri rapportabili a episodi di rock minimale quali quelli edificati dai Low, eppure si ha l’impressione che le sovrastrutture sonore utilizzate (si vedano gli archi di “It Follows Me Around”) finiscano per inficiare l’intero percorso artistico del duo – che pur prendendosi il carico dell’intera scrittura dei brani si fa accompagnare da gente come Marc Hellner, Eben English e Joshua Eustis dei Telefon Tel Aviv (che si porta dietro l’uso diffuso della componente elettronica e che produce il disco).
A volte le loro penne si dimostrano assai ispirate, come nel caso di “Better Than Bleeding”, splendida ballata adagiata sulla chitarra acustica che riporta alla mente le dolenti cadenze dei mai troppo rimpianti Lullaby for the Working Class, o come nel vaudeville ectoplasmatico che fa compagnia al sintetico battito di “Bring On Happiness”. Il problema resta il perpetuo riciclarsi di quella che una volta fu una coppia non solo da un punto di vista strettamente musicale: un continuo gioco di rimando a sé, nastro di Moebius matrimoniale che riconduce ogni essenza artistica a un discorso strettamente personale, tenendo all’esterno il mondo. Tutto questo era già presente e visibile nei due lavori precedenti, ma in “Different Days” si rischia di rendersi conto in maniera fin troppo palese di questa tendenza. Fatto sta che si è costretti a fare i conti con la prevedibilità di “No Surprise” e la noia di fondo sprigionata da “There Is No”.
Si torna ad alzare la testa con l’ispirata title-track, che ricorda gli scherzi per giocattoli delle Cocorosie di “La maison de mon reve”, per poi ripiombare nella sensazione di scarso appagamento che fa da sottofondo all’ascolto della maggior parte dei brani di questo lavoro.
Che si attesta comunque sui livelli della sufficienza ma che mostra una band dalle idee non chiarissime, confusa probabilmente più che altro dal cambio di etichetta – i riferimenti digitali presenti qui dentro potrebbero benissimo derivare proprio da questo evento -. Dopo la fantastica avventura di “In the Afternoon” una mezza delusione, in attesa che Lindsay Anderson e Joseph Costa decidano di farci nuovamente partecipi dei loro umori più nascosti.