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Nemmeno il tempo di arrivare a febbraio che già la discografia fagocita senza ritegno gruppi e gruppetti punk-funk destinati a dividere in una retorica sarabanda che stanca in primis chi di musica ha la pretesa di parlarne e in seconda ripresa chi dovrebbe ascoltarla, che parte ormai svilito e disilluso da un grottesco caravanserraglio mediatico degno del Satyricon di Fellini.
In questo bel clima sereno e spensierato troviamo i The Fever, gruppo che potrebbe anche ottenere un certo seguito di ipernicchia se non fosse troppo cool per lo snob – che nel frattempo si sta godendo bellamente il nuovo Lcd Soundsystem – e troppo “oltre” per gli amanti delle platee patinate degli Interpol. Se aggiungiamo poi che non hanno la capacità di scrittura dei Bloc Pary (il cui esordio sulla lunga distanza probabilmente sarà già uscito quando starete leggendo queste righe) e il carisma cazzone dei Franz Ferdinand, allora capiamo perfettamente che questo “Red bedroom” rischia di essere bellamente ignorato.
Semplicemente perché un disco che può far sì scuotere il piede per qualche momento – e alcune canzoni ci riescono – ma che si stalla nell’inutilità più insulsa. E sopratutto perché si tratta di un disco di appena 45 minuti che sembra non finire mai. E se si ha la sciocca pretesa di fare rock’n’roll questa è una cosa che non deve mai succedere. Sarebbe un controsenso. Lo stesso controsenso che troviamo nel dar credito a questo progetto di cui fra qualche mese non rimarrà nulla.