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Le notizie del sold-out per la data italiana dei Mars Volta – lo stesso giorno, alla stessa ora, nella stessa città… stessa organizzazione tra l’altro – facevano pensare ad un Transilvania semi-deserto, il che avrebbe fatto esaltare maggiormente l’arredamento mansoniano del locale. Così invece non è stato, non lo possiamo certo definire il pubblico delle grandi occasioni – non si è trattato certo di un tutto esaurito – ma un bel po’ di persone si sono recate in terra meneghina per supportare e farsi emozionare dalle struggenti canzoni di Conor Oberst.
Arrivati in ritardo per assistere ai Ryko Reiley, ci concentriamo sui Bright Eyes: band di sei/sette elementi che include chitarre elettriche, slide, trombette e pianoforti, quasi a sottolineare la natura prettamente americana del progetto – questo è solo il tour dell’acustico “I’m wide awake, it’s morning”, per l’elettronico “Digital ash in a digital urn” si dovrà aspettare ancora un po’ – lanciandosi in un sound che, nonostante una forte componente personale, echeggia di Neil Young e Gram Parsons diventando una specie di antologia della musica popolare americana, alternando momenti prettamente acustici e altri in cui tutto il gruppo si lancia in una specie di rumorosa celebrazione rock. La scaletta comprende brani dall’ultimo lavoro, da “Fevers and Mirrors”, alcune b-side e chicche per gli ultra-fan che Conor Oberst sembra avere (ragazze che urlavano e gente che cantava ogni canzone… che sia vera gloria?).
Un concerto intenso e sentito che ha espresso pienamente il valore di un autore che si dimostra a suo agio sul palcoscenico – addirittura un po’ troppo, certi atteggiamenti da prima donna dell’indie-rock se per un po’ fanno sorridere, dopo possono anche infastidire – e le canzoni hanno un’ottima resa live, e sono emozionanti come ci aspettavamo e va bene così, aspettando il nuovo tour per il nuovo disco.