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A distanza di un anno Bugo torna a proporre il suo cantautorato surrealista alle platee romane e si affida nuovamente al Circolo degli artisti, che dopo la chiusura dell’Init sta diventando la bombola d’ossigeno indispensabile per gli ascoltatori rock della capitale.
A fare da apripista al suo spettacolo vengono invitati i Masoko, già Masoko Tanga, quartetto che propone una wave ironica e tendenzialmente tesa all’isteria; il pubblico sembra apprezzare molto, nonostante alcuni punti nei loro riguardi continuano ad apparire irrisolti. Il suono tende a farsi, di tanto in tanto, monotematico e non sempre la voce di Alessandro (impegnato anche nel progetto solista PAD) risulta in grado di rendere quel paradossale mix di ansia e sberleffo che esplode ad esempio in un brano come “Due dita”. Il punto più alto la band lo raggiunge comunque con l’esecuzione dell’oramai storica “Filosofia”, retaggio dei tempi della GASProd, affascinante progetto produttivo al quale partecipavano, oltre ai Masoko, i Noise From the Cellar, l’esperimento free-form dei G.A.S.P. – e l’ensemble G.A.S.P. vs. Noise che produsse l’ottimo “La terra vs. i dischi volanti” -; brano nevrotico, ossessivo, frastagliato. Esempio perfetto di un pop rumoroso e, sotto la coperta protettiva del sarcasmo, ambizioso. Una band comunque da seguire, e che nella partecipazione alla prossima edizione di Arezzo Wave potrebbe trovare l’ideale trampolino di lancio. In bocca al lupo.
Il palco è ora tutto per Bugo, accolto da urla, invettive, insulti divertiti; questo Rocky Roberts postmoderno risponde con uno spettacolo eccellente, nel quale sciorina tutta la sua verve. Ad essere saccheggiati sono ovviamente “Golia e Melchiorre” e “Dal lofai al cisei”, i due album Universal, i due lavori che hanno potuto raggiungere più facilmente i salotti degli italiani, ma il Bugo non disdegna intrusioni improvvise nel passato Wallace e Bar La Muerte. L’esecuzione di “Con il cuore nel culo” è sicuramente l’apice della serata: il brano viene stravolto, trascinato all’infinito. Dopo aver eseguito la versione da studio, con il suo andamento vagamente thriller e la disillusa presa di coscienza del ritornello, il frontman invita il pubblico a battere il tempo all’unisono e a scandire le parole sulle quali lui si getta a corpo morto improvvisando una coda vocale che sembra impossibilitata a una chiusura logica, tanto che nessuno si stupisce quando la materia torna ad essere oggetto di studio per gli strumenti pronti a lanciarsi in un finale psichedelico sempre dominato dalla voce sgraziata di Bugo.
Per il resto tutto sufficientemente di routine, esecuzioni buone ma senza troppi svolazzi di fantasia. Rispetto all’esibizione dell’anno scorso si nota una maggiore attenzione al suono della band, e le sedute per sola chitarra e voce sono censurate nella loro totalità, e questo probabilmente è un peccato perché viene a mancare la vena più intimista di questo strampalato cantastorie dei giorni nostri. Ma sono difetti di poca entità, a ben vedere, e vengono perdonati facilmente. Soprattutto se il ritorno in scena per il classico bis prevede “Casalingo” e, a chiudere tutta la serata, una delirante versione di “Il sintetizzatore”. Poi il saluto alla folla; in una quotidianità di miti di plastica ai quali si cerca a tutti i costi di trovare nervi e profondità inaspettate fa bene al cuore partecipare allo show di qualcuno che si auto-definisce plastica onde evitare fraintendimenti.