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Senza prenderci in giro, possiamo tranquillamente ammettere che il cantautorato lo-fi americano e composto – per lo più – da dischi tutti uguali. Certo, all’apparenza è sicuramente così: chitarre acustiche arpeggiate, elettronica povera in sottofondo, la chitarra elettrica che fa qualche incursione perennemente sottotono e mai ingombrante, una voce non accademicamente intonata ma che si concentra a contestualizzarsi nell’atmosfera rilassata e intima che questi dischi creano.
Detta così, chi è appassionato di questo tipo di musica non ne fa una bella figura visto che è lo stesso artista a non farne proprio una bella figura (chi ha voglia di queste opere slacker nel 2005?). Eppure, ascoltando “Emoh” di Lou Barlow si ha la stessa sensazione di quando si ascoltavano i Sebadoh e i migliori lavori con la Folk Implosion. Un lavoro che si presenta per quello che è e non ha bisogno di essere studiato per essere amato. Diretto ed essenziale, che prende il meglio della filosofia lo-fi per scrivere canzoni bellissime che toccano nell’intimo (su tutte, “Holding back the year” e “Mary”) e che si fanno apprezzare semplicemente per quello che sono.
Un talento, quello di Lou Barlow, che purtroppo è sempre rimasto incompiuto: non è mai riuscito ad esplodere in pieno, ma probabilmente solo per la scelta dell’autore di un certo ‘profilo basso’ che toglie ogni prurito di pretenziosità dalla sua opera. “Emoh” è un grandissimo disco che ci sentiamo di amare e di consigliare a chi ha voglia di farsi disarmare dall’onesta forza di questi quattordici movimenti elettro-acustici che sono semplicemente quanto di meglio mr. Barlow ha fatto dai tempi dei Sebadoh. Un disco composto sottovoce, senza affermarsi definitivamente, incompiuto e con l’enorme talento ribadito ma non reso esplicito, proprio come il perfetto ‘beautiful loser’ che è.