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E’ stata forse una prova necessitata doppiamente, questa di “Splendore Terrore”, per Moltheni. Necessitata nel vero senso della parola per i problemi di etichetta e di budget che ci ha raccontato lo stesso Umberto nell’intervista di dicembre, ma imposta in secondo luogo dalla stessa parabola dell’artista: schizzata in alto vertiginosamente con il sorprendente esordio di “Natura In Replay”, confermata con un po’ di alone in “Fiducia Nel Nulla Migliore”, in discesa verticale per la mancanza di riscontro del tour successivo e per il silenzio che è iniziato a scendere sul cantautore marchigiano appena dopo.
Ci voleva dunque un nuovo inizio, una rinascita ripartendo dalle proprie corde intime, sommesse, alla ricerca del proprio io recondito di cantautore. E Moltheni ha fatto così. Ha lasciato che parlassero, più che le melodie, le atmosfere minimali di una chitarra acustica, di un wurlitzer e poco più. Non a caso in quattro episodi su undici ha scelto il mezzo espressivo della canzone strumentale, che dà la possibilità di esplorare l’immediatezza e l’emozione senza i filtri della parola, e a guardare il risultato di “Bue” ciò non può che essere una lieta sorpresa: gli Alice In Chains di “Jar Of Flies” (!) rimaterializzati, nella loro indolenza e sofferenza.
In “Splendore Terrore” si respira una sincerità di fondo, un’esigenza rispettabile di fare musica seria ed essenziale, vibrante e poetica, ma si coglie – e non poteva essere altrimenti – anche una certa stanchezza del ripartire, la difficoltà personale dell’essere ancora in mezzo al guado nonostante non si possa più essere definiti, per usare una terminologia un po’ sanremese, “una giovane promessa”. E si evidenziano anche i soliti limiti della musica da camera, che bisogna ascoltare solo se effettivamente nello stato d’animo adatto, perché unicamente un Nick Drake riesce a tingere di pennellate di apparente serenità quello che in realtà è sussurro disperato. Moltheni ce la fa appieno in “La Ragazza Dai Denti Strani (Humana)” e in “Fiore Di Carne”, con la cadenza suadente della chitarra acustica che va a scavare ciò che di più intimo e vulnerabile ha l’ascoltatore, ma non in tutti i pezzi. Riesce invece a rendere sempre la propria voce vero strumento: il canto è schietto, sentito, toccante.
Un cd che è comunque una prova importante di come si possa essere rigorosi ed onesti nell’approccio musicale, qualità molto rare negli artisti italiani (dal lato opposto del rumore sono caratteristiche ad esempio di uno come Cristiano Godano dei Marlene Kuntz) che fanno affezionare ancora di più i propri fans ma difficilmente ne portano di altri, perché il rigore è spesso – sbagliando – confuso con la rigidità.
Una tappa interlocutoria nel cammino di Moltheni, capace però di rifocillare l’artista (e il pubblico) verso, speriamo, il vero e proprio album imprescindibile di Moltheni.