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Più va avanti l’avventura della coppia Simons/Rowlands più si ha l’impressione che la loro rotta di navigazione tenda a compiere giri ciclici intorno alla stessa asse. Anche in “Push the Button”, così come nel precedente mediocre “Come With Us” è possibile riscontrare ulteriormente l’infrangersi dello Tsunami sonoro rappresentato per il duo elettronico da “Surrender”, il lavoro che li lanciò nell’olimpo del commercio musicale contemporaneo.
I Chemical Brothers sembrano voler semplicemente ripercorrere le tracce (proprie e altrui) di un discorso musicale che ha oramai abbondantemente superato la soglia della contemporaneità e deve dunque essere letto finalmente come contesto storico. Non che ci sia nulla di male, qualsiasi genere si basa sull’utilizzo degli standard, ed è naturale che anche l’elettronica contemporanea si adatti a dover rileggere se stessa. Il problema è che in questa riscrittura manca completamente un tassello fondamentale per accaparrare l’interesse di un uditorio attento: la novità. Certo, Rowlands e Simons dimostrano una notevole classe (e un brano come “Come Inside”, con il suo groove travolgente ne è una dimostrazione palese) ma nelle loro undici composizioni non c’è praticamente nulla che si salvi dall’accusa di prevedibilità.
E se rispetto al disastro di “Come With Us” l’impianto sonoro appare meno scricchiolante e l’intero progetto prosegue per la sua strada in maniera decisamente più compatta, pur nell’intento dichiarato di toccare tutti i lidi sonori da sempre parte integrante del sound della band – il surrealismo psichedelico, la dance, la techno, il pop – è altrettanto vero che è impossibile premiare questo lavoro al di là del mero “compitino eseguito diligentemente”. E, venendo a mancare anche completamente l’autoironia – elemento essenziale ad esempio per i Daft Punk – si fa largo nella mente l’idea che il duo non sia neanche troppo cosciente della reiterazione strutturale delle sue composizioni. E episodi triti e ritriti come il singolo “Galvanize”, con il suo progredire arabeggiante, perdono anche qualsiasi valenza postmoderna; si è costretti a rifugiarsi nuovamente nel cono d’ombra della tecnica e della classe, ma a lungo andare – e un’ora di ascolto non è così breve a passare – questi pregi non riescono a supportare una mole debordante come quella messa in piedi per l’occasione.
Restano da elogiare dunque alcuni singoli casi: la trance ipnotica e vagamente lisergica di “Close Your Eyes” a cui collaborano i Magic Numbers e “Marvo Ging”, memoria stralunata e ondivaga rivissuta in rewind, l’imponente “Surface to Air” capace di passare da un sibilante minimalismo a un vero e proprio crescendo epico e la scatenata “The Boxer” cantata da Tim Burgess dove finalmente l’ironia trova spazio per poter dire la sua. Capitoli che, staccati dal contesto, riescono a rifulgere di luce propria: una rarità, per questo album. I Chemical Brothers restano due simpaticoni verso cui la critica ha usato all’epoca parole troppo osannanti. Non sono i salvatori di nessuna patria elettronica, sono semplicemente due uomini dotati di un certo ingegno e di non particolare creatività. I loro lavori restano sufficienti e a tratti divertenti, ma nulla di più: “Push the Button” è semplicemente la conferma di questo concetto.