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“Non credere mai a chi canta di mestiere”: queste sono le parole di Appino durante “L’inganno”. Si parte da qui per capire questo disco dal titolo tradotto in tre lingue e dedicato a questo fantomatico gentiluomo: non dobbiamo aspettarci niente di serio(so) da queste dodici canzoni. E non perché gli Zen Circus siano degli incapaci, ma semplicemente perché a loro sta bene così: preferiscono cantare senza pretese il loro solito punk-folk come in “Dead in July” (e la mente torna, come sempre, ai Violent Femmes), scrivere strofe che sarebbero state perfette sugli album dei Pixies (“A kind of pop lullaby”) con la solita voce indolente che sbeffeggia Lou Reed.
Allo stesso tempo, però, il trio pisano va oltre; per adeguarsi alla politica della nuova etichetta (I Dischi dell’Amico Immaginario, che pubblica solo band che cantano in italiano), si concentrano sulla lingua di Dante in ben sei brani, ma non sembrano farlo con troppa convinzione: in “L’inganno” sembrano una versione molto più sbracata della Bandabardò, mentre in “Fino a spaccarti due o tre denti” la voce è talmente impastata da rendere incomprensibili le parole, e in “L’amico immaginario” i tre allestiscono una versione folk di un vecchio singolo dei Julie’s Haircut, “Set the world on fire”, a cui somiglia davvero troppo. Va un po’ meglio con la lingua francese, con “Les poches sont vides les gens sont fous” a mescolare Clash e Mano Negra.
Non mancano, però, momenti ben più riusciti, come “Hellakka”, che si regge su un giro di chitarra country-blues, con una trascinante ritmica funky nel finale, e “Colombia” è davvero molto bella nel contrasto tra le accelerazioni ritmiche e i fuzz ossessivi della chitarra; piacciono anche il gran gioco di basso e batteria nell’omaggio ai Minutemen “Visited by the ghost of D. Boon” e la sgangherata “I baNbini sono pazzi”, ideale colonna sonora di una festa punk all’asilo. Un album divertente, ma che appare meno a fuoco e meno ispirato del precedente “Doctor seduction”: tra i due dischi è passato poco più di un anno, e forse sarebbe stato meglio attendere una maggiore ispirazione. Ma se ci si vuole godere una band anomala, poco pretenziosa e amabilmente caciarona, anche questo “Vita e opinioni di Nello Scarpellini, gentiluomo” potrà accontentare.