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È magnifico che certe cose accadano ancora. Quello che segue è un racconto poco lineare di uno dei concerti più belli di tutta la mia vita, ancora più sorprendente perché conoscevo poco la band. E dai volti del pubblico attorno a me, non devo essere stato l’unico ad essermi innamorato follemente degli Arcade Fire, questa sera. Non vi racconterò che brevemente dell’apertura, affidata a Final Fantasy: sequenze di violino mandate in loop, voce sussurrata e scossa da grida improvvise. Coraggioso, affascinante, ma non per questo meno ripetitivo.
Quando sul palco salgono gli Arcade Fire, il lugubre locale milanese si trasforma in un carosello colorato e gioioso, fatto di canzoni imprevedibili, di fughe in avanti, di elettricità forsennata e gentile. La mia mente si popola di suoni e di immagini: la voce strozzata di Win Butler come un Robert Smith non più grottesco, la moglie Régine a inseguire i ricordi di una Björk bambina, ondate percussive squassanti, cambi di strumenti, fasci di luce verde, canzoni folk suonate con un impeto incredibile, incantate ninnananne suonate sott’acqua, fantasmi di Talking Heads e dell’energia animale di Iggy, valzer mitteleuropei arrivati per magia dagli anni ’20 (una canzone inedita, composta la sera prima e suonata con una sicurezza spaventosa), melodie stupende lacerate dalle chitarre, arresti, ripartenze, incanti.
Incanti e gioia.
Non c’ altro modo di raccontare questo concerto, credetemi: gli Arcade Fire hanno un’innocenza, una forza, una contentezza nel suonare che non può non contagiare tutti. Règine intona un’ultima canzone, con una voce trasparente e vetrosa, sul punto di spezzarsi, mentre tutta la band scende dal palco e cammina suonando tra il pubblico, come a coinvolgerlo ancora di più, per qualche minuto ancora, per gli ultimi istanti di una serata davvero speciale, come non capitava da tempo immemore. Avessimo potuto, li avremmo abbracciati tutti e tenuti con noi ancora un po’, per regalarci altre immagini dal loro mondo meraviglioso. Se quello che avete letto vi sembra follia, è semplicemente perché non eravate con noi quella sera. Avreste capito solo la mattina dopo, grazie al vostro sorriso ebete incollato al viso e ai ricordi della sera prima, di aver assistito a uno spettacolo straordinario.