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La maturità artistica è un concetto che può far discutere, perché la maggior parte delle volte l’irruenza e la spontaneità giovanile unite al fatto che si arrivi al primo disco con un armamentario esteso di canzoni sulle quali fare un’oculata scelta fanno ritenere che le migliori prove degli artisti siano le prime. In tema di Marlene Kuntz, poi, il discorso si complica dannatamente per l’accusa, neanche tanto poco velata e strisciante, che molti vecchi fans hanno rivolto a Godano e soci per il loro cosiddetto tradimento del noise e delle iniziali sonorità soniche.
I Marlene se ne sbattono di queste elucubrazioni. I Marlene hanno fatto uscire un album, “Bianco Sporco”, che trasuda maturità da tutti i pori, dal quale traspare un’opera di evoluzione significativa e significante in tutti i suoi contenuti. Che guarda al cantautorato colto italiano (a questo punto le cover di Conte e Mina in “Fingendo La Poesia” non sono un caso) senza dimenticare le proprie radici costituite dagli incroci dissonanti delle chitarre di Tesio e Godano.
A guardar bene non era facile, molto remava contro, soprattutto la perdita di un pezzo fondante del gruppo di Cuneo com’era il bassista Dan Solo. Nei fatti la sostituzione con Gianni Maroccolo, praticamente il loro scopritore, è risultata assolutamente naturale, senza alcun difetto derivante dall’inevitabile assestamento.
Quando si mette su il cd giunge subito all’orecchio la voce di Godano: “Mondo Cattivo” si presenta così, e si capisce in un istante che “Bianco Sporco” sarà un album cantato, come la prima chitarra lontana ed effettata che si sentiva in “Senza Peso” marchiava l’album del 2003 come leggero. A dimostrazione che il primissimo inizio di un cd molto spesso fornisce l’elemento fondante dello stesso. Ma, in realtà, è poi la voce di Godano? Si stenta a crederci: irriconoscibile, non usa più farsetti e non ringhia più, Cristiano pare essere andato a scuola di canto da educande. Il risultato però è straordinario: accattivante, fascinoso, signorile.
Le canzoni si snodano lungo direttrici precise, con parole mai così chiare che sono il fulcro dove tutto ruota attorno, evolvendosi in finali aperti da brividi sulla schiena e luci a tutto spiano: in “Mondo Cattivo”, ma anche nella raminga “Il Solitario” e ne “I Poeti”, una tipica canzone marleniana però rallentata, una “Canzone Di Domani” dettata dai tempi kuntziani di oggi. Ci sono elementi che faranno rabbrividire i marleniani duri e puri, quelli che “O Festa Mesta O Muori”: il singolo “Bellezza” inizia con archi così marcati che si potrebbe essere sul palco dell’Ariston, “Amen” è una cavalcata che non può che essere plasmata sull’idea del “Bolero” di Ravel (musica classica!), “L’Inganno” e “Il Solitario” hanno cori inaspettati che aumentano l’effetto notte della prima e l’andamento errante della seconda. E “La Lira Di Narciso” ha un’intensità struggente da togliere il fiato, purtroppo non supportata da un ritornello completamente all’altezza: dopo il bellissimo parlato, infatti, la melodia si ritorce un po’ su se stessa senza elevarsi troppo.
Si è aspettato un po’ a recensire “Bianco Sporco”, per capirne l’essenza nel profondo, e per comprendere se avevano ragione tutti i commentatori della prima ora, disorientati da cotanto spostamento di prospettiva ma tutti concordi su una impressione: di essere al cospetto di quei rari album che crescono ascolto su ascolto, il cui fascino si nasconde dietro le pieghe ma lancia luccichii fin da subito. Un album che dà molto, e che bisogna solo ringraziare per aver avuto la possibilità di ascoltare. I Marlene Kuntz avevano già dato tanto, ma con “Bianco Sporco” superano se stessi evolvendosi e cambiando tantissimo: la maturità artistica, se ne si voleva una prova, esiste.