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Che strada ha preso l’arte di Tori Amos? Dopo le devastazioni emozionali dei primi due album, la sua musica si è fatta sempre più ardua da seguire: affascinante, certo, ma forse troppo ripetitiva. Arrivati a “Scarlet’s walk”, poi, la ripetitività si era trasformata in vera e propria logorrea, in una fiumana torrenziale di parole e musica con un’identità forte ma troppo poco limate e cesellate per invogliare chiunque ad ascoltarle.
Ora, “The beekeeper” procede sulla stessa linea: abbiamo tra le mani un concept album di diciannove brani, retto su metafore inusuali (il guardiano d’api è l’immagine di chi regge il destino del mondo) e giocato tutto sulla voce e le mani di questa donna; ma allora, cosa rende questo album decisamente migliore dei precedenti, se non il migliore in assoluto della seconda fase della carriera di Tori Amos?
In primo luogo, l’impianto concettuale che lo sottende si richiama come non mai ad alcune teorie del movimento femminista, al quale la cantante sembra essersi ispirata in più di un passaggio: le immagini della donna come unica entità capace di creare pace (“Mother revolution”) discende direttamente dall’etica della cura di Carol Gilligan, così come il confronto tra Maria e la Maddalena di “Marys of the sea” non nasconde l’influsso del pensiero di Mary Daly. Se in passato Tori Amos era stata immediatamente accostata al femminismo per i temi delle sue canzoni, ora questa adesione si fa più documentata e consapevole.
Non è solo l’impianto teorico a reggere un album come questo, perché anche la musica si stacca dai soliti canoni di voce e pianoforte, e bilancia il suono femminile del Bösendorfer con la presenza maschile dell’Hammond; inoltre, il suono in alcuni passaggi si fa caldo, ricco di sfumature sudiste, aggrovigliato di umori sensuali e di calore (“Hoochie woman”, “Original sinsuality”, i primi minuti di “Witness” che si sciolgono poi nella perfezione del pianoforte).
Maschile e femminile camminano insieme, come fanno le voci di Tori e Damien Rice in “The power of orange knickers”, e cercano assieme – nel confronto, e non nella lotta – una soluzione per rendere il mondo un posto più felice; non conosco molta altra musica che abbia un’ambizione concettuale così elevata, di questi tempi. Certo, la lunghezza del disco e l’attenzione che richiede non fanno di “The beekeeper” un’opera leggera, ma abbiamo tra le mani uno dei migliori dischi di Tori Amos: una donna misteriosa e intelligente, la cui musica non ti permette di accomodarti e lasciarla scorrere; una dei pochi musicisti rimasti a pretendere qualcosa dall’ascoltatore.