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Esiste una necessità ineludibile e innegabile per chiunque, in qualsiasi luogo geografico della terra e con qualsiasi modello di riferimento, decida di fare musica; lo spogliarsi dei propri pudori, delle proprie facciate di rispettabilità borghese (termine che ha oramai perduto la propria verità sociale per divenire semplice epiteto catalogante). Nulla che sia riconducibile a un significato prettamente osé, per carità, ma semplicemente l’espediente, il viatico, per la messa in mostra di sé al di là dei canali dell’ovvio.
Questa è solo una delle chiavi di lettura adeguate all’analisi della musica proposta dalle milanesi Allun. Che, se vogliamo considerare esclusivamente la loro line-up attuale (con Stefania Perdetti, già metà artistica degli Ovo e Natalia Saurin), propongono qui il loro secondo lavoro dopo “onussen”: nuovamente forte si fa dunque la sottile ricerca del palindromo e del rovescio, palesata nei titoli di album e canzoni (qui sono presenti “!otnemidart” e “enif al”) oltre che nella stessa scelta nominale della band.
Appare impossibile slegare l’essenza musicale delle Allun dal teatro vagamente artaudiano (con lo svilimento continuo ed estremo della forma normale, atto teso alla distruzione perpetua dell’argine del buon gusto e del buon senso, certo da non confondere con la facile ambiguità dell’arte atta a épater les bourgeois) che queste due ragazze mettono regolarmente in scena ed è consigliato a tutti di andarsi a vedere un loro concerto prima di ascoltare “onitsed”: non perché ciò che è presente non sia valido in sé e per sé, ma piuttosto perché non risulta completo, pienamente risolto. Ad esempio il gioco surreale in cui si è condotti è riscontrabile fin dalla filastrocca infantile che apre “Due bambine nel bosco”, ma la sua decostruzione e la caduta verticale nell’abisso del rumore ne risultano almeno parzialmente inficiate senza il supporto visivo, perso fra surrealismo e dadaismo (e non a caso il duo presenta nel cd anche una traccia video).
“Le belle addormentate” è una suite/favola, e come ogni fiaba che si rispetti è perfettamente transgender, tra armoniche folk, veri e propri squarci orrorifici, ipotesi di zapping, suoni da videogames, elettronica e rumoristica. Insomma la definitiva deflagrazione dell’universo Allun; Stefania e Natalia procedono imperterrite nel loro percorso, lontane da mode e facili riferimenti (potrebbero essere la risposta italiana ai Caroliner Rainbow, a dirla tutta), su un tracciato che le trascina via dalla musica tout court. Teatro musicato o musica teatrale? Nessuno dei due, a dire il vero: fino ad arrivare al giorno in cui alle Allun non tornerà utile né l’uno né l’altro elemento. Cosa ci sarà allora? Forse tutto, o forse sarà necessario ripensare al palindromo. Come diceva Debord sull’ultima immagine di “In girum imus nocte et consumimur igni” per ricominciare dall’inizio.