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Il barocco intarsio della battagliera copertina potrebbe far pensare al peggio, visto che certi espedienti epici a metà tra i libri del Medioevo e le carte da gioco di Magic L’Adunanza sono stati pesantemente utilizzati da certo metal oltranzista (versante epico o qualunque altro aggettivo indichi grandezza)… o al limite a Rufus Wainwright. Certo la sobrietà non è mai stata una virtù dei texani Trail of Dead, i quali dopo lo straordinario e rumoroso “Source Tags and Codes” si aprono ad arie pop più cristalline che non vengono uccise dal muro di chitarre ma guadagnano un’importanza crescente. L’attitudine del gruppo verso la canzone rimane di matrice rock, ma sembra quasi che in questo “Worlds apart” siano riusciti a mescolare un senso della melodia di matrice beatlesiana all’epicità dei Led Zeppelin e la furia degli Husker Dü.
A conferma di tutto questo, basti ascoltare – o meglio, farsi letteralmente distruggere – dall’incipit di “Would you smile again for me”, che parte con una violentissima fuga di chitarra per spezzarsi in crescendo melodici che rimandano sì a “Led Zeppelin IV” ma anche a “Zen Arcade”. La title-track sembra più allineata verso il precedente “Source Tags and Codes” ma gode di una freschezza contagiosa, mentre – a sottolineare uno dei tanti momenti à la Beatles del disco – il crescendo armonico di “Summer ‘91” rappresenta una di quelle aperture che non ti aspetti da un gruppo che riesce ad esprimere il meglio di sé sopperendo il tutto attraverso valanghe di rumore. Ed è sublime.
Certo, forse l’opera può risultare discontinua e la tensione iniziale – grosso del merito va alla già incensata “Would you smile again for me”, uno di quei brani che ti invoglia a schiacciare in continuazione Play – non si mantiene agli altissimi livelli premessi, ma dopo un bel po’ di ascolti possiamo affermare che “Worlds apart” non stanca. Non stanca e anzi si rilancia, mostrando aspetti sempre nuovi e risvolti inediti prima celati dalla tendenza del gruppo ad esagerare. Ma alla fine di tutto si tratta di rock’n’roll, non importa quale sia il suo futuro (op. cit.) o quanto effettivamente abbia senso in questo determinato momento storico, però questo disco ti fa venir voglia di lasciar stare qualsiasi cosa e fare casino come se fosse la prima volta che si ascolta una chitarra elettrica… and the rest will follow.