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L’ultimo disco degli americani Dead Meadow ribadisce lo stato di grazie di quel rock che mescola senza mezzi termini svisate hard tra Led Zeppelin e i Blue Cheer con afrori psichedelici alla Doors. Normale quindi che il risultato sia anacronistico ma per chi, negli ultimi anni, ha apprezzato i Comets on Fire e i Warlocks non avrà difficoltà nel trovare in “Feathers” pane per i suoi denti.
Sì perché ormai parlare della staticità della musica e del fatto che il rock non abbia più niente da dire ha annoiato tutti, finalmente parlano le chitarre e forse da queste non bisognerebbe mai aspettarsi qualcosa: si rischiano delusioni cocenti. Tutto questo per dire cosa? Semplicemente che chi i dischi si è sempre preoccupato di ascoltarli si è rotto i coglioni delle dietrologie e delle sociologie spicciole buone solo per i pipparoli della tastiera (del computer intendo, non dello strumento) e nell’anno del signore 2005, un disco come “Feathers” è da accogliere non come un miracolo, ma come un grandissimo esempio di amore degli anni ’70, un lavoro fuori dal tempo perché appartenente ad un’epoca dove l’irruenza e l’impatto era tutto ma con una freschezza dei suoni che – per ragioni tecnologiche, ovvio, ma ci saranno dei pregi a vivere oggi no? – ai tempi si sognavano.
Ma con questo non voglio dire che “Feathers” sia meglio di “Vincebus Eruptum”, solo che nonostante un’eccessiva lunghezza (57 minuti, francamente troppi…), questo nuovo lavoro in studio degli americani rappresenta uno di quei dischi rock che omaggiano ottimamente la psichedelia ed è sempre un gran bel sentire.