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Si può tranquillamente dire che Alessandro Bocci, Manuele Giannini, Dino Bramanti e Roberto Bertaccini abbiano ripreso il discorso da dove, tre anni fa, era arrivata al punto di non ritorno l’esaltante avventura degli Starfuckers: lo scarto sonoro non sembra infatti presente, e potrebbe facilmente venire a mancare la giustificazione per il cambio di denominazione. Potrebbe, se non fosse che “Sinistri” è anche il titolo di uno dei capitoli più interessanti degli Starfuckers, licenziato nel 1994 per la Underground Records.
Ed ecco dunque che la storia si fa più intrigante: il nome Sinistri equivale dunque a un riappropriarsi di sé, della propria essenza, del proprio passato musicale. Anche perché le novità sono ben altre: innanzitutto la voce che arriva a farsi sentire in “Ampstone”, paragrafo in cui lo spezzato classico dell’intreccio musicale del terzetto (quella che loro definiscono nonmetric music) viene arricchito di continui sampling in odore di effetto Doppler ideati dal neo-entrato Bramanti. Un episodio quasi isolato, ma che allontana ulteriormente la band dal pasticciaccio combinato con le “(infinitive sessions)” e riconferma il progetto come un processo di graduale riavvicinamento all’essenza del suono/Starfuckers.
Poi l’uso predominante della chitarra, vero e proprio elemento chiave nella lettura di questo lavoro; pur nella completa frammentazione di ogni suono, sorprende il reiterato incedere della sei corde di Giannini che propone istanti di blues, accenni di jazz, improvvise epilessie funkeggianti e via discorrendo, riportando alla mente gli episodi più lontani dal tempo e allontanando la composizione da rimandi diretti a quel capolavoro che risponde al nome di “infrantumi”, probabilmente l’apice della band. E se il gioco di distruzione sistematica di ogni suono e la continua ricerca di ogni asimmetria musicale rischia in alcuni capitoli (“Black Vamp #1”, ad esempio, o la pur affascinante “NY Vamp (Second Set)”) di apparire eccessivamente calcolata e del tutto avulsa da una pulsione istintiva – mandando dunque a farsi friggere il “Free Pulse” delle intenzioni – è anche vero che l’ispirazione sembra essere tornata di casa.
Forse in realtà serviva a questo camuffarsi dietro altro nome, a darsi una nuova struttura mentale, a sentirsi meno costretti dal peso della storia Starfuckers: e allora ben venga questo cambio in corsa. Perché i Sinistri non stupiscono più – o non stupiscono ancora? E se stessimo assistendo in diretta a un progressivo cambio di intenzioni? Le interferenze cosmiche e siderali di “Deep Sgneak” nascondono futuri inattesi? – ma almeno non si ritorcono su se stessi colti da catalessi come avveniva per gli ultimi stanchi Starfuckers. Un album di passaggio, probabilmente. Attendiamo conferme o smentite.