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Giunto alla sua diciottesima edizione, il Buskers Festival non cambia formula: 20 gli artisti invitati dall’organizzazione, 227 quelli accreditati. E in occasione della sua maggiore età la manifestazione ferrarese si è regalata un pezzo di Brasile, paese ospite di quest’anno. Con l’appoggio del grande Gilberto Gil, attuale ministro della Cultura del suo paese, numerosi artisti di Salvador de Bahia, la più brasiliana delle città brasiliane, hanno trasferito per una settimana in terra padana i ritmi e le melodie del carnevale più grande del mondo. Del resto, con il suo effervescente multiculturalismo, il paese carioca si fa specchio e portavoce della vocazione cosmopolita del festival, ancora una volta confermata dalle 26 nazioni rappresentate.
In Piazza Municipio, mentre sediamo al tavolino di un bar in attesa di intraprendere il nostro breve tour, attirano la nostra attenzione alcuni vertiginosi passaggi strumentali di ardua classificazione. Ci avviciniamo per chiarirci le idee, cercando un piccolo varco tra la folla numerosa: chi suona è il Fred Menendez Quartet, che offre un’interpretazione elettrificata di generi come il mambo e la samba, con una forte impronta rock. August Cesar alle percussioni, Orlando Nascimento alla chitarra ritmica e, soprattutto, Fabio Rocha al mobilissimo basso, offrono il tappeto sul quale il leader intesse i suoi virtuosismi di mandolino e di vari altri piccoli strumenti a corda.
Da un Brasile rivisitato al gipsy-jazz del Tolga Trio di Tolga During, chitarrista turco innamorato di Django Reinhardt: con l’olandese Jowan Zoutendijk alla chitarra ritmica e lo spagnolo Pablo Millas Pages al contrabbasso, la band presenta nuovamente e Ferrara il suo stile raffinato e retrò. Tutt’altro che “old fashioned” è invece lo stile gitano dei francesi Substance Méditerranée, tre chitarre, violino, contrabbasso e percussioni: straordinario Jean Yves Tibilan al cajon (percussione a forma di parallelepipedo), che tra le sue mani può trasformarsi in una batteria dalle vigorose rullate.
Brusca sterzata, ed ecco The Kilted Generation (che ricalca nella denominazione “Music For The Jilted Generation” dei Prodigy), folle e divertentissimo trio australiano, una scelta abbastanza atipica da parte dell’organizzazione festivaliera. La definizione di folk celtico moderno, che appare sulla guida ufficiale della manifestazione, non rende assolutamente giustizia all’hard folk spericolato di questa band. Immaginate di togliere la chitarra ad Angus Young degli AC/DC e di mettergli tra le mani una cornamusa: se la sapesse suonare la suonerebbe probabilmente come il vulcanico Cam McAzie, fedele alle origini scozzesi con il suo kilt di pelle nera borchiato. Completato da Scott Henman alla batteria e da Trent Humphreys all’humpaphone, una sorta di elaborazione personale ed elettrificata del dulcimer, il trio offre uno spettacolo davvero trascinante, da palco rock.
Il tempo a disposizione è quasi scaduto: giusto un’occhiata dalle parti dell’italiana Kachupa Folk Band e dell’olandese Gypsy Jazz Trio Raisa e poco manca che ci lasciamo lo scarpino…