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Lavorare di cesello sui sentimenti. È questo che hanno fatto i Northpole in tutti questi anni, che li hanno resi il più noto tra i gruppi-non-esordienti italiani. Tutti ne garantivano la bravura, ma pochi li avevano realmente conosciuti. E il loro debutto lascia senza fiato. Davvero. Perché è raro trovare un disco a cui attaccarsi, ed è ancora più raro trovare un insieme di stile, eleganza e riferimenti formali così compiuto e così personale.
Qualcuno tirerà fuori gli Smiths, e i quattro veneti, per togliersi il pensiero, li citano tra le righe di “Adesso è limpido”, brano d’apertura forte di un inizio strepitoso e di ariosi archi alla Tenco. Eppure non siamo di fronte a un disco nostalgico, tutt’altro: i Northpole sono radicati nel presente, con uno sguardo sognante che sa di felicità che passano accanto e che vengono sfiorate appena; ma quello sguardo può trasformarsi anche nella condanna lucida ad un nordest ipocrita, ordinato e marcio.
È bello fermarsi ad ascoltare questo disco, e pensare che i Northpole sono speciali: forse perché le parti più gentili spesso arrivano dalla voce e dalle chitarre, mentre la sezione ritmica – interamente femminile – è quella capace di colpire con violenza allo stomaco; forse perché, anche nelle canzoni meno riuscite, c’è sempre un particolare sonoro in grado di attirare l’attenzione e di meravigliarti (le chitarre frantumate in “Non esagerare mai”, o l’ansiogeno rincorrersi di un basso pulsante e della voce in “La musica si è fermata”). Molto del merito di questo va a Fabio De Min dei Non Voglio Che Clara, che ha creato arrangiamenti sublimi: e così, il passo veloce e chitarristico de “La distanza” si fa avvolgere da una melodia d’archi che ricadono su se stessi, o le sei corde di “Niente mi ricorda di te” vanno ad omaggiare i Pixies, oppure “Come ogni sera” sembra un brano dei Coldplay senza quella fastidiosa grandeur.
Il meglio del disco sta nel suo cuore: dapprima “Laura” è conforto dolce ed emozionante a una ragazza che ha perso i suoi sogni, con una splendida spirale di pianoforte; poi “Luca Marc” – la storia vera di un ragazzo buttatosi nel Piave perché scoperto con una puttana – è emozionalmente violentissima, con quel basso che rimbalza nel ventre, e la batteria sembra percuotere le coscienze ipocrite di chi ascolta.
Se tutto il disco fosse così bello come la prima metà, avremmo tutti gridato al capolavoro: così non è, ma vale comunque la pena di entrare nel mondo dolce e violento dei Northpole. Perché vogliono emozionare e lo fanno, incuranti di tutto: con i loro tempi e il loro stile. E con una classe e una sincerità immensa.