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L’attacco è qualcosa di formidabile: chitarra elettrica, ritmica serrata e riff che parte dai Blue Cheer per sfociare in una melodia byrdsiana che rimanda ai Posies. È “Astral Man”, esordio di “Giant On The Beach”, quarto disco degli americani Grip Weeds. Innamorato della psichedelia sixties come della melodia e del power-pop, il quartetto del New Jersey ripropone la formula già efficacemente proposta nelle precedenti prove. Infatti, quest’ultimo lavoro è la solita raccolta di three minute songs dal sapore vintage, dal retrogusto underground, dagli afrori college, dalle doppie voci alla “Turn! Turn! Turn!” e dalle divagazioni strumentali tra Buffalo Springfield e Quicksilver Messenger Service. Insomma, un pout-pourri di elementi che non fanno altro che confermare la buona salute di una formazione che è riuscita a scrivere canzoni comunque degne di nota nonostante non si sia mai preoccupata di stupire.
Dall’attacco puramente Crosby Stills Nash & Young di “Give Me Some Of Your Ways” agli Who di “I Believe”, non c’è niente in questo disco che rimandi a qualcos’altro. Ma se si mette da parte questo limite – che limite non è, in fondo abbiamo più volte ribadito che nel pop quello che conta sono le belle canzoni (ascoltare “Infinite Soul” per credere)… e poi stiamo parlando di Who e Neil Young, non della prima banda di improponibili sfigati del quartiere di nonna Gina o dei Def Leppard – non escludo che “Giant On The Beach” possa regalare qualche sano minuto di divertimento agli indefessi amanti delle college radio convinti ancora del significato della parola underground. Gli altri sono pregati di guardare altrove e di non lamentarsi, vi abbiamo avvertito.