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La fotocopia degli Interpol. Ecco, una recensione dell’esordio di questi Editors che volesse essere minimale al massimo, stringata ai minimi termini, essenziale come non mai, potrebbe cavarsela così: con quattro parole. Vogliamo però guadagnarci la pagnotta e scrivere qualcosa di più? Vabbuono.
La curiosità sul gruppo con base a Birmingham (ma i componenti vengono da città diverse) è nata innegabilmente ascoltando il singolo che ha anticipato “The Back Room”, dal titolo “Munich”. Pezzo davvero stratosferico: batteria carichissima sui sedicesimi, un riff che riporta indietro di vent’anni che neanche The Edge saprebbe creare (adesso), chitarra nella strofa che fa molto Strokes e un ritornello che una musicista normale potrebbe comporre solo nell’arco di un’intera vita. Le discoteche rock di mezzo mondo ringraziano, ormai i frequentatori si sono stancati di ballare sempre e solo “Should I Stay Should I Go”. Gli Editors regalano un riempipista di quelli che non se ne sentivano da tempo, un concentrato new-wave con una spinta rock che i pezzi dark dell’epoca (generalmente) non avevano.
Però nel frattempo si sono formati gli Interpol. Questo piccolo dettaglio fa scemare prepotentemente la considerazione sugli Editors, e anche su questo singolo, è innegabile. Tra l’altro gli Interpol hanno sempre goduto di quel fascino degli opposti, “gli americani che suonano come degli inglesi” o roba del genere, mentre gli Editors è normale che suonino come degli english wavers. Per certi versi un riappropriarsi della matrice britannica, per certi altri un ricalco con carta da lucido.
“The Back Room” inizia con “Lights” che è, al medesimo tempo, un puro plagio dei newyorkesi e una buona canzone. Tutto il resto dell’album rispetta questa regola non scritta: le canzoni hanno il loro che di ispirato, ma gli arrangiamenti tradiscono la mancanza di una propria idea musicale. Qua e là fanno capolino gli Psychedelic Furs, molto di più si affacciano i Joy Division, e bisogna ammettere che – dopo il singolo sopramenzionato che spacca – sono gli episodi migliori (“Bullets” e “Someone Says”). Ma non bisogna pensare che sia un album che abbia picchi e canzonacce, il tutto si mantiene uniformemente su un buon livello (derivativo).
Gli Editors in fin dei conti sono come dei valenti madonnari: possono essere bravissimi a rifarti “La Medusa” di Caravaggio, ma non sei agli Uffizi a goderti l’originale. E non è la stessa cosa. Per cui, dato che la tecnica e il gusto ci sono, la domanda viene spontanea: chissà se inizieranno a dipingere qualche soggetto originale?
(Paolo Bardelli)
31 ottobre 2005