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Da qualche anno a questa parte, la Sub Pop si è impegnata nella promozione di alcuni dei migliori esempi di pop americano. Un modo per rivoluzionare la propria importanza, rinnovando la politica artistica dal grunge degli anni ’90 alla nuova americana degli ultimi tempi. E’ merito dell’etichetta di Seattle se oggi possiamo godere dell’ascolto di “Chutes Too Narrow” degli Shins (a parere di chi scrive, uno dei dischi più belli degli ultimi anni) o dell’inosservato “Out of the Shadow” dei Rogue Wave. Di questa scuderia di purosangue fanno pare anche i Fruit Bats, terzetto capitanato da Eric Johnson (uno cresciuto assieme a gente dei Califone e della Perishable Records, per intenderci) e fenomeno di culto degli esegeti pop con un bel disco come “Mouthfuls”.
“Spelled in Bones” è il loro terzo capitolo. Forse la scrittura è più elementare rispetto agli esordi, ma soltanto perchè ormai manifestazione di uno stile consolidato e non più solo proprio della band in senso stretto, ma di una vera e propria scuola di pensiero che, dai compagni di etichetta di cui sopra, approda nei territori degli Elf Power, dei Belles, degli Okkervil River e poi su fino ai Big Star (padri spirituali di gran parte dell’underground contemporaneo a stelle e strisce assieme a Neil Young e Gram Parsons). Aridità creativa, dicono i detrattori. Semplicemente niente di nuovo, vero, assodato. Mi piacerebbe però sapere dove sta il problema, visto che la freschezza di questo lavoro è una dote che vale più di mille striminzite critiche campate per aria e la leggerezza con cui queste note viaggiano nell’etere non si curano di chi vorrebbe sempre lo stupore della “prima volta” in qualsiasi cosa. Giusto per fare un esempio, dopo anni di sesso, chi è che si lamenta perchè è sempre la stessa cosa?
Ma alla fine come suona questo disco? Beh… E’ semplicemente pop della Sub Pop per gente che ama il pop. Tre minuti a pezzo, chitarre acustiche, tastierine, la-la-la spensierati e filastrocche un po’ sfigate. Da adorare.