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Camminiamo in lungo e in largo dietro ai camerini di Arezzo Wave. Le interviste papabili sono con Soulwax e Kills, ma i Kills fanno i fighi e rimangono in albergo. Meglio, se sono simpatici dal vero tanto quanto sul palco sarebbe stato meno irritante intervistare Tremonti. Ci appropinquiamo dunque nello spogliatoio (letteralmente, siamo allo stadio) dei Soulwax dove ci accoglie un sorridente Stephen Dewaele.
Avete una “doppia personalità”: siete contemporaneamente rocker (Soulwax) e DJ (2 many dj’s). Come Soulwax quanto è importate far ballare la gente?
A volte vogliamo che la gente balli, altre volte che ascolti una stupida canzone d’amore. Non abbiamo mai in mente qualcosa di preciso. Non sappiamo mai che tipo di musica faremo coi Soulwax. Di solito andiamo in studio, iniziamo a suonare e dopo un po’ capiamo cosa sta venendo fuori. Ma nell’ultimo disco abbiamo messo dentro più brani ballabili perché avevamo fatto l’esperienza come DJ. Non sono pezzi dance perché li suona una rock band però li puoi ballare. Ma non siamo partiti pensando di fare pezzi di quel tipo. E comunque molte delle cose che facciamo sono troppo complicate per poterci ballare su.
Avevo letto che non vi divertivate più a suonare dal vivo, ma al vostro concerto a Milano lo scorso ottobre mi è sembrato il contrario. E’ bello abbandonare le macchine e tornare agli strumenti?
Sì, sì. Secondo l’idea di chi sta nell’industria discografica avremmo dovuto smetterla coi Soulwax, fare i DJ e guadagnare un sacco di soldi. Ma noi vogliamo essere ancora una band. Ed è divertente suonare dal vivo, anche se è più semplice fare i DJ. Suonare dal vivo causa molto più stress, noi siamo dei perfezionisti e sappiamo che ci sono un sacco di cose che possono andare storte. Ma dal vivo ci divertiamo. All’inizio è stata dura, c’erano da imparare le nuove canzoni. Adesso è tutto sistemato e possiamo divertirci e basta. Credo che in questo momento siamo al nostro meglio.
Nel concerto milenese hai dato l’impressione di essere più a tuo agio con le vecchie canzoni. Le nuove sono più difficile da cantare?
Le nuove canzoni non sono più difficili da cantare. Però per le vecchie canzoni i dischi sono stati fatti in maniera tradizionale, cioè avevamo i pezzi pronti prima di andare in studio. Per l’ultimo album invece abbiamo scritto tutte le canzoni in studio, che è una cose folle, abbiamo sperimentato molto insieme a Flood. È strano, alcune canzoni erano solo un riff, poi abbiamo aggiunto le parti vocali e così via. All’inizio è stata dura perché non le avevamo mai suonate dal vivo. Adesso conosciamo le canzoni molto bene, siamo molto sicuri. Adesso dovremmo tornare in studio e registrare nuovamente il disco.
Ho visto la vostra performance al Fabric di Londra a maggio, una via di mezzo tra un live ed un djset. Come avete fatto a prepararla?
Quando abbiamo registrato “Any Minute Now” abbiamo detto a Flood che avremmo dovuto tornare subito in studio, remixare il disco e farlo uscire come doppio cd. Ma la casa discografica voleva l’album e non abbiamo avuto tempo di farlo.
E’ uno show nuovo quello che avete fatto a Londra…
Sì, credo sia interessante vedere una rock band che fa il remix di un proprio disco e poi lo propone dal vivo. Penso che nessuno l’avesse ancora fatto.
E poi dev’essere dura per il vostro batterista, suonare ininterrottamente per 40 minuti… Come una drum machine!
(risate) Al Fabric è stata la prima volta, poi abbiamo suonato al Sonar e Parigi ed ogni volta è stato bellissimo, molto divertente. Abbiamo voluto fare queste performance dopo mezzanotte (per questo si chiamano “Nite Versions”) e all’interno di club. In quelle occasioni c’è un DJ che fa ballare la gente e poi la band. Abbiamo fatto molti concerti in cui noi prima facciamo i DJ, poi ad un certo attacca la batteria e suonano i Soulwax e al termine del concerto torniamo a fare i DJ.
Prima della vostra esibizione al Fabric gli avventori della discoteca hanno acclamato “Blue Monday” dei New Order. Pensate che questa rivalutazione degli anni ’80 finirà e si tornerà a considerare quel periodo come un momento buio per la musica?
(con un certo quantitativo di sangue negli occhi!) E’ un’idea molto molto limitata e stupida pensare che gli anni ’80 siano stati un periodo buio. Per me gli anni ’80 sono stati il periodo più esaltante per la musica. C’è stata la musica punk, che a volta si contaminava con la musica funk con tutte quelle strane band che uscivano e con la gente che aveva voglia di provare a suonare musica improbabile. Poi nel 1985 c’è stato l’hip hop. Quando avevo 11 o 12 anni potevo comprare The Virgin Prunes ma anche “Blue Monday” dei New Order, ma anche un disco di Grand Master Flash o Blondie. Voglio dire, era una cosa pazzesca se ci pensi. Quattro diversi stili musicali che nascevano nello stesso momento. E io credo che i giornalisti guardano solo alla musica commerciale dell’epoca ed è vero sono uscite parecchie vaccate. Ma c’era anche molto underground e molte di quelle cose stanno tornando nella musica elettronica, anche nell’hip hop e pensa poi agli LCD Soundsystem. Lì ci suonano la mia ragazza e il mio miglior amico. Un sacco di quello che fanno è basato su alcune delle cose che facevano alcune delle formazioni old school. E l’abbiamo fatto anche noi coi 2 many dj’s e coi Soulwax nell’ultimo album. Penso sia stato un periodo grandioso. Ma sarà la stessa cosa, la gente dirà che gli anni ’90 facevano schifo e magari tra 5 anni inizierà a pensare che i Frankie Goes To Hollywood sono stati la cosa migliore mai uscita. La gente sta riscoprendo che la musica aveva anche un legame con la cultura. Alcune di queste band sono state incredibili, se pensi alla musica che hanno fatto. Ad esempio i New Order e a “Blue Monday”, puoi dire che l’hai sentito troppe volte ma se segui la storia dei New Order, quello che è successo dopo i Joy Division, sai che hanno inciso quel pezzo, l’hanno prodotto e hanno perso soldi. Ho un grandissimo rispetto per loro e credo abbiamo cambiato la percezione di una band new wave. Musica dark e cupa si diceva ma loro hanno inciso un pezzo dance, ed è il pezzo dance più triste che esiste, e ancora oggi se lo metti la gente impazzisce. Io non ho mai visto gli anni ’80 come un periodo buio e cerco sempre di difenderlo. A volte sulla stampa inglese c’è un giornalista che esprime un pensiero e allora tutti iniziano a copiare e all’improvviso quella è diventata un’idea condivisa, quel periodo faceva schifo.
I Soulwax potevano nascere altrove se non in Belgio?
No, sono una cosa molto belga. C’era questo giornalista di musica classica Le Figaro che doveva recensire 2 many dj’s e Soulwax ma non ci aveva mai sentiti prima. Dopo averci ascoltato ha detto una cosa molto interessante, ha fatto un paragone col dadaista belga Marcel Duchamp, coi surrealisti come Matisse e poi ha parlato di Jacques Brel, dei dEUS e della techno music che viene dal Belgio: “Quello che fate voi ragazzi è l’unione di tutti questi stili diversi”. Perché il Belgio è circondato da Francia, Olanda, Germania, Inghilterra. Ghent è davvero al centro, non scherzo. Sono cresciuto con 35 canali tv, con tutte quelle lingue diverse, culture diverse, in mezz’ora se vai verso destra o verso sinistra sei in un’altra nazione. Quindi cresci e pensi, hey ma c’è di più di quello che ho davanti agli occhi. Con molto facilità facciamo nostro quello che vediamo attorno. Non credo che aver potuto farlo se avessi vissuto in Olanda.
Grazie davvero.
E’ stato un piacere.