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Mentre proprio in questi giorni vedono la luce pubblicamente le nuove creature partorite dagli Animal Collective e da Vashti Bunyan è forse il caso di andarsi a ripescare questo EP di appena quattro tracce, pubblicato dalla Fat Cat prima dell’estate: non un vero e proprio lavoro a più menti, dunque, ma più che altro le briciole di un incontro, la dimostrazione (a chi ancora volesse perdurare nel tenere gli occhi chiusi) di un sentire comune che è anche il palesamento del raggiungimento di una collettività. Perché è di questo che si tratta, un vivere collettivo che si respira nei lavori degli artisti più disparati e che mi è stato fermamente ribadito dal vivo sia da Miriam dei Black Forest/Black Sea sia dalle Cocorosie. In questo “Prospect Hummer” la voce di Vashti e le intuizioni musicali di Panda Bear si fondono, ma meglio ancora si scontrano cercando la maniera più appropriata per amalgamarsi senza perdere in identità.
Canti eterei, adatti a una fantasmagoria sull’esistenza degli spiriti dei boschi e della campagna, sorretti da accompagnamenti scarni, soprattutto nell’uso delle percussioni. Il ritorno alle origini continua, a tratti sembra di essere stati catapultati agli inizi del secolo passato in una notte di mezza estate nel New England o giù di lì; la musica contenuta in questo piccolo gioiello è pacificante, così sinceramente naturale da lasciare a bocca aperta. “Siamo della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, disse qualcuno qualche secolo fa, ed è su queste linee direttrici che si muove il passo ondivago ma mai stanco e mai indeciso dell’Animal Collective e di Vashti Bunyan. E quando la splendida voce della cantante viene a mancare, nell’episodio strumentale “Baleen Sample”, è sostituita da campionamenti di voci e rumori marini, perdita di senso definitiva di fronte all’infinito che riporta alla mente, paradossalmente, la straordinaria ode a “Big Sur” con la quale Jack Kerouac conclude il romanzo omonimo.
“Prospect Hummer” è uno di quei lavori che solo apparentemente lasciano il tempo che trovano: certo, è un divertissement, e ancor più certo è che sarà difficile in futuro leggere in questa breve collaborazione il reale senso dell’esistenza di Panda Bear, Avey Tare e Deakin e del loro collettivo animale, e ancor meno il senso di questo mito della contemporaneità che è Vashti Bunyan (e chi mai potrà dimenticarsi la sua partecipazione in “Rejoicing in the Hands” di Devendra Banhart?), ma il risultato raggiunto è comunque eccellente, e la conclusiva “I Remember Learning How to Div” non ha proprio la minima intenzione di fuggirsene via dalla memoria.