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C’è stato un momento, nei primi anni ’90, in cui i Replacements potevano fare un salto di qualità per diventare qualcosa di veramente importante all’interno del panorama rock internazionale e non limitarsi al ristretto ambiente degli appassionati che, ancora oggi, vedono nel gruppo di Minneapolis (assieme agli amici/rivali Husker Du) uno dei baluastri del rock anni ’80. Questo non è successo per dinamiche inconciliabili con il rigore professionale del music-business, perché nonostante il contratto con una major, i Nostri continuavano a fare concerti che, categoricamente, non portavano mai al termine per le troppe sbronze; non si facevano problemi a mandare affanculo persone a destra e a sinistra (tra cui il pubblico del Saturday Night Live nel 1989) e non si sforzavano di aprirsi alla commercialità che avrebbe garantito loro fama e fortuna per gli anni a venire.
Se il loro profilo di punkers duri a morire ce li fa amare ancora di più, la figura da loser e solitario cantautore rock che Paul Westerberg si è disegnato con la più infantile delle naturalezze ce lo rende immediatamente qualcosa di speciale, vicino alla nostra sensibilità, al nostro modo di pensare, così dannatamente simile all’immagine del rock che ci siamo fatti con tanti – troppi – ascolti “sbagliati” e gli ennesimi sogni di gloria con tanto di air-guitars e immaginarie risse nei backstage. Insomma, un’immagine affascinante che ha poco da spartire con i cantautori americani capaci di sfruttare le luci della ribalta. Westerberg ha sempre preferito l’underground, sia per vocazione antidivistica, sia per la totale libertà di cui poteva vantare: una libertà che ha generato alcuni tra i migliori dischi di canzoni rock degli anni ’90. È quindi da salutare con felicità una raccolta come “Besterberg”. Al di là del titolo a dir poco geniale e superando il fatto che un vero appassionato di musica (= un vero sfigato) non dovrebbe assolutamente invaghirsi di una raccolta, il disco rappresenta un essenziale abbecedario per entrare, comprendere ed amare l’universo westerberghiano. Una dimensione che è riuscita a dare alcune soddisfazioni mainstream (ad esempio le colonne sonore di film come Singles e I Am Sam e serie tv come Friends e Melrose Place), ma che si è sviluppata per di più nella cerchia dei fan del rock con dischi come “14 Songs”, “Suicaine Gratification” e “Stereo”.
Certo, nel 2005 può essere desueto addentrarsi in un personaggio come Westerberg. Vuoi perché i ventenni di oggi semplicemente non ascoltano musica, vuoi perché quei pochi la ascoltano non la ascoltano veramente preferendo farsi avviluppare dalle campagne pubblicitarie delle new sensations. Ma se mi date retta – e se voleste darmi fiducia una volta nella vita, vi prego, fatelo ora – ve ne fregate delle mode, della compagnia giusta, delle spillette e dell’hype della musica indie per seguire quello che veramente vi dice il vostro cuore. Perché le canzoni d’autore dell’ex-Replacements sono questo, cuore aperto. Una sensazione di sangue vivo che si può toccare con mano nella malinconia di “Runaway Wind” – una delle più belle ballads di tutti i tempi – nell’esplosione di gioia di “Dyslexic Heart”, nella foga ribelle di “World Class Fad”, nell’atmosfera raccolta e diaristica di “Man Without Ties”, nell’amore sfigato di “Seein’ Her”… e così continuando per venti canzoni che non solo riassumono un cantautore nel migliore dei modi possibili, ma semplicemente lo rivelano con l’onesta con cui si è sempre approcciato alla sua musica e la passione che è sempre stato capace di inoculare in quelli che lo ascoltavano sul serio.
Il manifesto a posteriori di uno dei più grandi e sottovalutati cantautori dei nostri tempi. Una di quelle perle rare che un giorno rimpiangeremo presi dalla nostalgia di un asettico universo musicale pieno di fighette pettinate e di batterie in levare, di casse in quattro e – aiutatemi a dirlo, non ci riesco da solo – sintetizzatori. Perché il revival di questa musica (no, non è la musica giusta, è semplicemente la nostra) non arriverà mai e nonostante mi senta di seguire uno dei migliori consigli che il Nostro ha potuto immortalare in tutti questi anni, lo sguardo al futuro non è dei più rosei. Questi sono problemi che si dovrebbero trattare in altra sede, ma il rock è così: no compromise, prendere o lasciare, cazzo! Una voglia e un fuoco che ti prende, ti brucia, ti sputa e ti fa rinascere. Quella sensazione di brivido, di lacrime, di commozione che ti fa sentire speciale nonostante tutto e tutti. E grazie a quelli come Westerberg possiamo dire di averlo provato ancora una volta. Perché in fondo, come direbbe lui, I’m gonna let the bad times roll.