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Non è facile stare dietro a Ryan Adams. Ancora meno è aspettarsi un anno senza una sua prova discografica. Niente di male, per carità. In fondo, se escludiamo quella baggianata raffazzonata “Rock’n’Roll” i lavori del Nostro non hanno una virgola fuori posto e sono comunque sottolineati da un’enorme passione per la musica americana nella sua fantastica interezza.
Ed è così che sei mesi dopo il doppio e bellissimo “Cold Roses”, Ryan Adams torna nei negozi con il secondo capitolo di questa trilogia del 2005 (fra qualche mese dovrebbe uscire il terzo disco). Sempre i Cardinals al suo fianco, ma ora è Gram Parsons a guardare dall’alto con accondiscendenza. Via quindi i richiami folk alla Neil Young per immergersi nell’universo del country meno conformista ma non per questo meno legato alla tradizione. Dai giardini dell’eden dell’ex Byrds, ai confini metropolitani dei Wilco di “A.M.”, senza dimenticare Willy Nelson e la tradizione popolare di Scott Joplin (soprattutto in alcune melodie di pianoforte che sembrano rubate ai rag del primo novecento).
Insomma, “Jacksonville City Nights” è un bel disco. Al suo interno troviamo belle canzoni, una scrittura ormai diventata ineccepibile e una passione che altrove si possono soltanto sognare. La sensazione di fondo però, è che manchi quello slancio che rendeva “Cold Roses” un disco fondamentale anche per chi non è un esegeta della musica americana. Forse il bacino d’utenza dell’ex Whyskeytown è così grosso da potersi permettere le sbandate for fans only, ma chi è esterno all’universo popolare cui si rifà il Nostro potrà sconcertarsi all’ascolto. Certo, se anche una canzone come “Dear John” non riesce a toccarvi allora avete decisamente sbagliato Pianeta, ma tolta questa, se non sopportate la tradizione e gli stivali da cow-boy, e avete sempre detestato il Dylan di “Nashville Skyline” (eretici!) state pure alla larga da questo disco.