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Spesso si parla a sproposito di depressione. Una parola che implica uno stato d’animo con cui converrebbe andarci piano. Da vocabolario: “Stato psicotico o nevrotico caratterizzato da malinconia, senso di vuoto, caduta di ogni interesse vitale” (Disc, 1997 Giunti). Appurato che spesso chi si forgia di tale sintomo spesso è semplicemente in una fase di scazzo, è veramente una bella notizia sapere che Dave Berman nè è definitivamente uscito. Per lui la situazione era veramente seria e la malattia aveva raggiunto livelli preoccupanti. Siamo felici sia per l’uomo che per l’artista, uno dei più brillanti scrittori ed autori di musica americana degli ultimi due lustri.
Ne deriva “Tanglewood Numbers”, opera che ha sancito il ritorno di Silver Jews alla musica dopo una pausa di quattro anni in cui si è sopratutto dedicato alla poesia e alle ipotesi di suicidio. Per questo disco ha deciso di rompere il suo silenzio, rilasciare interviste e, addirittura, fare concerti (era conosciuto come l’artista che non avrebbe mai suonato in pubblico). A ragione, perché siamo davanti a quella che possiamo tranquillamente definire la sua prova migliore. Le melodie sono aperte e vivono di uno slancio vitale raro, un clima di liberazione che ci riallaccia alla depressione ormai sconfitta. La scrittura è di primissimo livello, come i testi, tutti molto personali e riflettenti la personalissima visione dell’autore: un rock come poesia per arrivare alle orecchie di più persone possibili, con un messaggio comunque abbastanza semplice.
Berman butta dentro queste dieci canzoni – nessuna men che eccezionale – tutta la disperazione e l’oblio che ha attraversato, uscendone come un uomo nuovo, forse non felice ma senza un opprimente peso che l’avrebbe a breve portato alla fine. E’ sicuramente per questo che il disco puzza di vita dal primo all’ultimo secondo. Quasi come una paradossale festa post-esorcismo. Se ci pensate, quello di cui abbiamo più bisogno di questi tempi. Ah, dimenticavo: alla chitarra è tornato Stephen Malkmus. Ma diciamolo una volta per tutte: Berman coi Pavement non c’entra un cazzo di niente.