Share This Article
Chiunque abbia a cuore l’evoluzione del rock europeo continentale, solitamente compresso tra lo strabordare di materiale che arriva dagli USA e la sudditanza psicologica ed economica verso quanto viene prodotto nella terra d’Albione, dovrebbe innalzare un altare agli Ex e fare sacrifici in loro onore. Quale altro gruppo musicale può infatti inserire nel suo curriculum collaborazioni con Tom Cora, i Sonic Youth, gli Shellac, i Fugazi e allo stesso vantarsi di aver potuto lavorare con il gruppo di curdi iracheni Awara, con il cantante eritreo Tsehaytu Beraki, oltre ad aver portato avanti rapporti con i maggiori gruppi underground europei, dai Chumbawamba pre-“Thumbtumping” fino ai romani Zu passando per gruppi cecoslovacchi, polacchi e tedeschi? Tutto questo senza contare i progetti collaterali, tra i quali appare impossibile non riservare uno spazio apposito ai Kletka Red dello straordinario “Hybrid” (anno domini 2000).
Insomma, una vera e propria istituzione, ancor più rimarchevole perché capace di tenersi sempre lontana dal sospetto luccichio della plastica che ammanta l’industria musicale: fieramente autoprodotti da venticinque anni, gli Ex portano avanti il loro collettivo musicale come fosse un progetto politico a tutto tondo, scagliandosi contro l’etica consumistica e proponendo iniziative a favore di cause internazionali come il sostegno alla Palestina di Yasser Arafat o l’appoggio a tutti i minatori inglesi in sciopero contro le sciagurate decisioni politiche di Margaret Thatcher. Figli del loro tempo, gli Ex sono la risposta olandese al mito dell’individualismo, il credo politico di voga nei primi anni di formazione della band. E ovviamente scelgono la via più appropriata per ergersi a paladini della parte avversa a quella dominante: si mettono a suonare punk.
Un punk chiaramente derivato dagli ascolti prediletti della band, e quindi nei suoni creati da Terry, Sok e compagnia è possibile ritrovare tanto elementi del punk anglosassone quanto di quello nordamericano (oltre a filiazioni dal blues, come sintetizzato nella splendida “Cells”); eppure, e anche qui sta l’importanza di un’uscita come questo “Singles. Period.”, nel corso degli anni si assiste a un’evoluzione che porta gli Ex a staccarsi dall’appartenenza stretta a un genere e a spaziare dalla sperimentazione sonora a una visione su larga scala della musica (e torna qui valido il discorso a cui accennavo in precedenza quando citavo le multiformi collaborazioni allestite dalla band), che non può che apparire come un caso isolato all’interno di un panorama musicale sempre abbastanza malfidato nei confronti degli interscambi musicali a trecentosessanta gradi.
Attraverso le ventitré tracce che sono raccolte in questa antologia unica nel suo genere (perché gran parte delle canzoni presenti sarebbero altrimenti introvabili) è possibile ricostruire un vero e proprio tracciato autoriale; ma al di là del puro gusto documentario è soprattutto possibile ascoltare delle composizioni di assoluto valore come l’inno “Stupid Americans”, “Weapons for El Salvador”, “Crap-rap” fino a trovarsi, proprio in conclusione del percorso, davanti alla bellissima cover dei contemporanei Mekons “Keep on Hoppin’”. Chi ancora non avesse mai sentito parlare degli Ex può benissimo cominciare da qui, così come questo sembra essere l’approdo perfetto per qualsiasi cultore di questi anticristi del rock europeo.
P.s.: Chi volesse saperne di più può trovare tutto ciò che serve al sito www.theex.nl