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intervista di Samantha Colombo
Il soundcheck del concerto che i Baustelle terranno la sera stessa al Rolling Stone di Milano, preceduti da alcuni gruppi emergenti, ha appena terminato di riverberarsi nel locale deserto. Nei camerini, il fumo delle sigarette s’intreccia alle ombre dei cavi, le voci di tecnici e musicisti fanno eco tra i corridoi d’un grigio algido. Seduti su un divanetto scarlatto, retrò e gelido quanto basta, Francesco e Rachele parlano del nuovo album della band, d’immagini, poesia, rock e femminilità.
Iniziamo dal passato recente, con il vostro ultimo album “La malavita”, che un mio collega ha definito come una sorta di film composto da undici storie, ognuna con i propri personaggi e le proprie vicende. Lo vedi anche tu come un insieme di undici racconti, undici modi di guardare il male di vivere?
(Francesco) Sì, a posteriori certamente sì. In realtà all’inizio abbiamo scelto le canzoni che ci piacevano di più, ne avevamo una ventina, e poi ci siamo accorti che avevano questo carattere un po’ di film… inconsapevolmente, avevamo scelto quelle che rappresentavano una specie di concept. Quindi sono d’accordo con questa definizione, anzi mi fa piacere che l’album sembri un film, alla fine la musica, almeno secondo me, è più interessante quando evoca anche delle immagini.
Infatti la sensazione è proprio questa, una specie di proiezione cinematografica. Invece, parlando più specificatamente della componente musicale dell’ultimo lavoro, si nota una notevole ricchezza di parti orchestrali: ti chiedo, nel momento in cui vi trovate sul palco, come avviene il passaggio dal lavoro in studio al live, avete trovato difficoltà, cercate di snellire il tutto?
(Francesco) Esattamente, in realtà cerchiamo di snellire. “La malavita” è composto da una parte molto rock e molto chitarristica, anche di più rispetto al passato, e da una parte dove c’è l’uso di questa orchestra d’archi. Infatti, per la prima volta, abbiamo avuto la possibilità di registrare con archi veri e propri. Dal vivo, prevale la componente chitarristica, ma cerchiamo di ricostruire la parte più drammatica, quella orchestrale, con l’elettronica. Tuttavia, come dicevo, la malavita è un disco molto rock, molto più dei precedenti, e noi privilegiamo sicuramente la parte rock nel live!
A proposito dei lavori passati, ho letto molti commenti riguardo quella che viene definita una vostra evoluzione, che parte da “Sussidiario illustrato della giovinezza” per arrivare ad oggi. Un’evoluzione musicale, ma anche poetica e stilistica. Senti “La malavita” come il raggiungimento di una sorta d’obiettivo artistico?
(Francesco) No, non lo sento come il raggiungimento di un obiettivo… sai, se ti poni un traguardo e lo raggiungi rischi di ritrovarti lì a dire: “Ok, sono arrivato dove volevo” e fermarti. A me piace piuttosto pensare che una persona o un gruppo negli anni cambino e che quindi ci sia un’evoluzione. Poi vorrei fare ancora tanti altri dischi… almeno spero!
Parlando sempre dello stile, citi spesso Gainsbourg o Montale… forse le tematiche che vengono trattate dalla canzone italiana, in generale, non sono nuove, penso all’amore, all’adolescenza e così via. Quello che si nota nei Baustelle, però, è una maggiore originalità, che deriva in buona parte dallo stile letterario, almeno detto da una che, nella pratica, forse ha più inclinazioni da letterata che da musicista!
(Francesco) Nel progetto Baustelle c’è una componente che si rifà al cantautorato, italiano, ma anche francese, quindi puoi trovare nei nostri testi influenze più “letterarie”, senza sembrare spocchiosi, rispetto ai riferimenti che puoi trovare in una normale canzone pop. Poi tutto dipende molto dalle cose che uno legge ed ascolta… personalmente, da autore di testi, sono cose che non studio molto a tavolino, vengono così, con l’ispirazione. In fondo, questa è la cosa bella dell’avere a che fare coi cosiddetti “mestieri artistici”! Puoi giocare molto sulle cose che vivi, ma anche inserire una citazione, lanciando magari dei riferimenti extratestuali. La cosa interessante, a mio parere, è che la canzone pop sia una forma abbastanza logora, mentre noi cerchiamo di rivoluzionarla, cambiarla un po’ e rinnovarla con piccoli stratagemmi. Per esempio, portando al suo interno dei linguaggi diversi dai soliti: oltre la rima amore/cuore ci sono, secondo il nostro punto di vista, molte vie possibili per rendere una canzone più accattivante o deviante, di rottura rispetto agli standard tradizionali. Beh, almeno ci proviamo…
Direi che ci riuscite!
(Francesco, sorridendo) Grazie…
E se ti chiedessi i titoli di tre canzoni che senti più tue o che comunque hanno rappresentato dei momenti importanti nella storia della band?
(Francesco) Dunque… “I provinciali”, perché è su quest’ultimo disco, ma è una delle prime canzoni che abbiamo scritto con i Baustelle. Poi “Il corvo Joe” e… “Gomma”, forse.
Bene, dai, non ti annoio più (ridiamo)! Ma ora mi piacerebbe fare quattro chiacchiere con te, Rachele… non ti si sente parlare molto, ma in un mondo sovrappopolato da musicisti uomini fa sempre piacere ascoltare qualche parere femminile! Dunque, ho ascoltato “A luce spenta”, la collaborazione coi Perturbazione e vorrei chiederti com’è nata, che cosa ne pensi, se ti è piaciuta…
(Rachele) Molto, mi è piaciuta molto! È nata in un modo molto semplice, mi hanno chiamata, mi hanno detto che avevano una canzone per la mia voce e si è fatta. In questo periodo loro erano a registrare un disco in zona Reggio Emilia, ed io mi trovavo proprio lì, in studio da Claudio, per “La Malavita”, per cui ho detto: “Perfetto!”. Eravamo già amici e mi piace molto come lavorano, mi piace molto anche il loro ultimo disco, quindi ho accettato subito. Poi è venuto con me anche Francesco ed a quel punto mi hanno detto: “Beh, visto che c’è anche lui, sfruttiamo i Baustelle fino in fondo!”.
Sempre parlando di canzoni, durante il concerto canti una splendida “Io bambola” di Patti Pravo. Secondo te, quali sono state le donne più rappresentative nella musica italiana?
(Rachele) A me piace Patti Pravo, per la voce, l’interpretazione, il personaggio: come lei, in Italia, non mi viene in mente nessun’altra. Poi apprezzo la Mina degli anni Sessanta e Settanta, la voce della Vanoni… delle volte mi dicono che le somiglio, vocalmente, ed io mi metto sempre a ridere! Diciamo che, quando ero più “giovane” ero attenta solo al tipo di voce, mentre oggi guardo molto anche la canzone e l’arrangiamento. Poi, preferisco le canzoni in italiano, la nostra lingua è bella e musicalissima! Ah, dimenticavo la Ruggiero ed Alice, anche loro mi piacciono molto.
Invece, per quanto riguarda le tue canzoni, ti identifichi nei personaggi che canti? Si crea un rapporto particolare, t’immagini di vivere la situazione descritta nei versi?
(Rachele) Dunque, innanzitutto Francesco mi propone il brano ed io magari faccio qua e là qualche modifica, se va bene al gruppo. Dopodiché, devi sapere che io sono persona che in genere s’immedesima molto! Se guardo un film sento molto la parte del personaggio, piango, soffro… mi piace immergermi nella musica ed andare, quando canto, e spero di farlo nel modo migliore.
Beh, proprio con Francesco parlavamo di queste canzoni dell’ultimo album che sembrano un film… ci hai azzeccato!
(Rachele, sporgendosi al microfono e ridendo) Infatti, mi piacerebbe fare l’attrice! Nei video, ad esempio, spero di arrivare a fare la parte di un personaggio, un ruolo diverso, proprio come un’attrice, appunto. Ad esempio, mi piace molto “Revolver” e mi si addice l’immagine un po’ mascolina, un po’ sadica, un po’ senza sentimenti… in realtà ne ho molti, ma li nascondo spesso, ma quando esplodo… esplodo!