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Quando fai parte della stampa non dovresti farti influenzare da quello che dicono i tuoi colleghi. A pensarci bene sei tu quello che deve influenzare. Te ne devi fregare di quello che dicono gli altri, anche se scrivono sulle riviste più quotate e rispettate. Perché non vuoi semplicemente ammettere a te stesso che questo “Z” dei My Morning Jacket… sì, insomma, ecco… non è niente di che? Ma insomma, che figura ci fai? Mojo – e sto parlando di Mojo, praticamente la massima autorità in campo di critica musicale – gli ha dato Cinque Stelle, lo ha eletto disco del mese e lo ha forgiato del prestigioso “Instant Classic”, quasi a significare di essere davanti ad un’opera che rimarrà nel tempo. E allora te lo ascolti decine di volte… la mattina, il pomeriggio, la sera… e il risultato è che non ti è rimasto assolutamente niente.
Eppure non c’è niente di sbagliato. I giri di chitarra sono quelli giusti, le sonorità anche e il solito riverbero sulla voce funziona che è una meraviglia. Ma oltre a questo, il buio assoluto. Scorre come acqua fresca e quasi non te ne accorgi, come se potesse essere solo un mero sottofondo mentre si sta facendo qualcos’altro. Come, ad esempio, scrivere una recensione dei My Morning Jacket (per la cronaca: gruppo coutry-rock americano guidato dalla voce riverberata di Jim James, accreditato come una delle migliori espressioni dell’eredità di Neil Young. Il disco consigliato è “At Dawn”, del 2001). Ci sta a meraviglia. Va leggero e le sue melodie sono talmente impalpabili che non riesci ad afferrarle – e di certo loro non hanno la forza per guadagnare una qualsivoglia attenzione – così la concentrazione sullo scritto non scende. Insomma, un po’ poco per una cosa che la più grande rivista di musica del mondo ha sentenziato come capolavoro, no?