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Lo inquadreremo mai Adam Green? Quando tutti si aspettavano una carriera sulla scia di quei Moldy Peaches dei quali il Nostro era mente – e ascoltando “Garfield” gli indizi c’erano tutti – “Friends of Mine” dimostrava un’inattesa sensibilità stralunata figlia di un Jonathan Richman piuttosto che dell’anti-folk newyorchese. L’anno scorso poi, con “Gemstones”, Green ha ben pensato di spostarla su un crooning alternativo che scimmiottava la tradizione del Ratpack in canzoncine dalla chiara verve ironica. Lavoro spiazzante che ha raccolto meno di quanto in realtà meritasse, “Gemstones” è vero e proprio fil rouge per questo “Jacket Full of Danger” dove, in 30 minuti scarsi, Adam Green ci dimostra come la sua volontà di essere un Dean Martin alternativo – con però l’immortale santino di Richman nel portafoglio – dia vita ad aperture melodiche insolite. Come ad esempio l’orchestra di “Pay the Toll”, “Hollywood Bowl” e “Novotel”, vero e proprio punto di forza di questo quarto lavoro solista. Orchestra che diventa anche tratto caratteristico, perché prende le distanze da quei detrattori che vedono nel disco una riproposizione senza ispirazione del precedente lavoro. Non ci è dato sapere se questo sia il miglior Adam Green a disposizione. Da qualche parte c’è ancora la speranza che torni sugli standard di “Friends of Mine”, perché per quanto “Gemstones” e questo “Jacket Full of Danger” siano belli ed ispirati, mancano di quel guizzo che li rendono fenomenali. Ma è un po’ come cercare l’ago nel pagliaio, perché siamo davanti ad uno dei più dotati e personali songwriter dell’ultimo lustro. Teniamoci strette le sue canzoni, sono di quelle che vale sempre la pena ascoltare.