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L’ultimo ricordo che avevo dei Gogogo Airheart prima dell’ascolto di “Rats! Sing! Sing!” viveva di una doppiezza degna di Norman Bates: da un lato l’ottimo lavoro in studio “ExitheUXA”, dall’altro il pietoso live proposto in quel di Roma. Da allora, però, Mike Vermillion e soci non avevano più dato segni di vita, e sinceramente la mia mente non se n’era dato troppo cruccio.
Eccoli ora tornare in pista, a tre anni di distanza, con questo “Rats! Sing! Sing!”: ed è subito possibile notare delle modifiche di struttura tutt’altro che banali. Il suono della band statunitense è quasi completamente stravolto; abbandonate le reminiscenze di wave dura e pura che potevano ricondurre al Pop Group e al funky destrutturato, i quattro – seconda chitarra e batteria non sono più gli stessi, e ora sono dominio di Ben White e Andy Robillard, mentre al basso è sempre presente Ashish Vyas – sembrano essersi dati una postura da band di classifica. Il loro rock si è fatto dunque meno malato, meno decadente ma anche meno furibondo. Tutto è molto più ordinato, anche quando ci si getta in elegie non lontane dal punk come “Burn It Down”, e sembra quasi studiato a tavolino, dato che qualsiasi approccio musicale viene sfruttato alla bisogna, dal punk meticciato da strada al pop, dal rock classico alla ballata, dalle acidità post-’68 a intermezzi ipnotici (“Dub II”, molto meno coraggiosa di quanto possa sembrare a un primo ascolto), fino addirittura a vaghe ipotesi dancereccie. Insomma, un bignami pulito ed edulcorato di ciò che la musica rock può arrivare a promettere ai suoi amanti; perfetto per un ascolto di massa.
Con questo non intendo dare all’accezione massa un valore esclusivamente negativo, ma certo è che il paragone con il passato della band è quantomeno stridente: ed è impossibile non rimpiangerlo, non solo perché superiore da un punto di vista creativo e compositivo, ma soprattutto perché ciò che c’è ora davanti agli occhi è una creatura linda e pinta, magari anche capace di catturare l’attenzione dei neofiti, ma assolutamente impersonale. Altre seicento band potrebbero dire di aver composto musica come quella racchiusa in “Rats! Sing! Sing!”, e non è certo un gran pregio questo. Certo, non ci si annoia e (quasi) niente di ciò che è prodotto qui dentro è da buttar via completamente, ma è lecito chiedere di più per le nostre orecchie. Augurando ai Gogogo Airheart tutta la fortuna commerciale possibile li saluto. Improvvisamente la memoria di ciò che accadde tre anni fa non è più intrisa di doppiezza, ma ha semplicemente perso interesse.
Forse se Norman Bates si fosse ritrovato davanti sua madre e ne avesse compreso, oramai adulto, l’assoluta quotidianità, la catena di omicidi sarebbe finita sul nascere. Ma non avremmo allora pianto la mancanza di un “Psycho” nella nostra vita? Ah, quant’è crudele l’arte del paradosso…
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