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Un perfetto matrimonio artistico che unisce due straordinarie voci all’apparenza così lontane ma in realtà mai così vicine. Il lupo cattivo Mark Lanegan e l’amorino Isobel Campbell si incastrano a vicenda con un’intensità stupefacente e una complicità che fa passare in secondo piano l’idea che il disco sia stato registrato con un oceano di distanza. L’idea era venuta alla Campbell, che ha scritto e arrangiato e prodotto la maggior parte dei pezzi e ha trovato entusiasta il buon Lanegan che, tra i suoi mille impegni (è prevista per quest’anno l’uscita del progetto Gutter Twins assieme a Greg Dulli), è riuscito a donare alcune delle sue migliori interpretazioni ai dolci componimenti dell’ex Belle & Sebastian.
Sulla scia dei migliori duetti degli ultimi anni, “Ballad of the Broken Seas” può ambire al ruolo di perfetto disco folk-pop in quanto strettamente rispettoso di ogni dettame del genere ma mai freddamente didascalico. Le canzoni si basano sugli arpeggi di chitarra della Campbell e la dove spuntano fuori delle orchestrazioni baroccheggianti (come in “It’s Hard To Kill A Bad Thing”) la sensazione di stucchevole non prende mai il sopravvento rispetto all’estasi dell’ascolto di canzoni come “Deus Ibi Est”, “Honey Child What Can I Do?”, “Black Mountain”, “Saturday’s Gone” e il blues maudit di “The Circus Is Leaving Town”. Bisogna anche dire che si tratta di persone fiere del ruolo e dell’identità che si sono ritagliati in questi anni.
Mark Lanegan gioca molto sulla sua voce cavernosa da Johnny Cash degli inferi mentre Isobel Campbell squittisce con la sua solita ed impalpabile leggerezza. Non c’è ambizione in queste dodici canzoni. Solo un lungo esercizio di stile in un disco inequivocabilmente di genere. Nessun problema. Qui di stile ce n’è a pacchi e il genere è sicuramente splendido.