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Bisogna dirlo. I Milaus sono degli sfigati. Pubblicano un disco come “JJJ” e la stampa specializzata li tratta con sufficienza, preferendo dare spazio ad altra gente. Queste sono scelte editoriali e queste spesso seguono logiche che sfuggono all’umana comprensione. Nessuna vis polemica, dispiace solo veder trattato in maniera così superficiale quello che sembra un grandissimo album. Bisogna dire che già dai tempi di “Rock da City” la band aveva dimostrato una capacità melodico-creativa a tutto tondo, solo un poco citazionista. Messa a freno la volontà di assomigliare ai modelli d’oltreoceano & d’oltritalia noti ai più (e i Pavement, e i dEUS, e gli Slint), i Milaus hanno cominciato a fare i Milaus. Ed assieme alla personalità hanno trovato anche lo spessore sufficiente a non essere solo un altro bel gruppo italiano, ma di poter ambire a molto di più. Nelle nove canzoni di questo disco si avverte l’ansia febbrile dell’incapacità di comunicare. L’opprimente malinconia della vita provinciale. Il suono nervoso della rabbia post-adolescenziale. Il tutto senza eccedere mai nei toni, mostrando un equilibrio spaventosamente maturo ad uso, però, di canzoni il cui nerbo sta nella visceralità dei sentimenti, sempre sul punto di collassare in una fragile implosione. Sentite il disco. Materiale come “It’s A Miracle” – vertiginosa discesa agli inferi – “Searching In All Love Songs” – punk/funk da creare imbarazzo a tutti i gruppi inglesi – “Traffic” – slowcore che Chris Brokaw in persona pagherebbe per fare – e “So Beautiful” – un brano che riassume alla perfezione il concetto di indie-rock – non è solito da trovarsi in un disco. Soprattutto se batte bandiera Italiana. Forse non diventerà mai un nuovo termine di paragone e credo che i Milaus stessi arrossirebbero di tale appellattivo. Ma per quanto riguarda la musica, “JJJ” è bellissimo e contagioso. Ad oggi, forse, l’opera migliore licenziata dall’ottima Black Candy.