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Dopo averci ammorbato per quasi un decennio (o era di più? Dopo un po’ si perde il conto del tempo) con la taranta, spinto dai pareri di esimi esponenti della canzone d’autore più cool – dai Ferretti ai Capossela passando per i soliti Sud Sound System – il Salento trova finalmente il coraggio di aprirsi a nuovi orizzonti con un disco che di campanilista non ha nulla, ma si affaccia all’immensità dell’Oceano per arrivare nei lidi carioca.
Caetano Veloso e gli Os Mutantes: ecco i sacri mentori di Giorgio Tuma, giovane esordiente che con “Uncolored” dipinge un colorato acquerello dove la bossanova e la psichedelia incontrano l’attitudine pop per essere portate alle masse dell’indie italico, che non mancherà di darsi di gomito strizzando l’occhio ed accogliendolo a braccia aperte. E ci mancherebbe. “Uncolored” è frizzante, divertente, gioioso, sognante, stupido. Cita con disinvoltura la tradizione brasiliana ma non nello spocchioso filosofare dei musicologi, permettendo invece anche a chi al Brasile collega caffè e Ronaldinho la conoscenza di nuove sonorità.
Tra un tocco jazz e un arpeggio acustico, le dieci canzoni si muovono con dolcezza. Cullano l’orecchio e lo guidano nel piacere di un’easy listening intelligente ma non per questo astrusa. Tuma ha tutte le caratteristiche per farsi apprezzare dal grande pubblico: ha il dono della melodia e riesce a costruire piacevolissima pop music pregna del tocco di classe di cui sono ghiotti i palati fini dei salotti lounge. Che poi nessuno sappia niente di Veloso è un altro discorso. Se a qualcuno capiterà di recuperarlo dopo aver ascoltato fino alla nausea “Gilles Joia” non può che essere un bene. Di un entusiasmo contagioso.