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Ben Harper è uno di quei rari artisti che una volta raggiunto lo status di rockstar, pur potendosi permettere qualunque cosa, riesce ad ogni uscita a comunicare passione e soprattutto estrema sincerità. Anche in un caso come quel “Diamonds On The Inside” che fece bestemmiare diversi puristi al grido di “commercialata spudorata!!”, si sentiva la tranquillità di chi fa le cose seguendo prima di tutto il proprio spirito. E poi basta vederlo dal vivo, il nostro Ben. Tre ore di concerto che sono festa e amicizia e dedica di se stessi al grande spirito della musica.
Dopo una riscoperta delle radici assieme ai Blind Boys Of Alabama, “Both Sides Of The Gun” riprende il discorso in maniera non del tutto nuova. Innanzi tutto la divisione in due dischi è una dichiarazione di intenti più che una scelta dettata da esigenze di spazio. Infatti le diciotto tracce ci sarebbero anche state su un disco solo, ma tutto avrebbe perso quel senso che rimanda al meraviglioso “Live From Mars”.
Così il primo disco è funk (“Black Rain”), è rock’n’roll (“Please Don’t Talk About Murder While I’m Eating”), è anche jazz (“The Way You Found Me”), ed è semplicemente il caro e vecchio Ben che abbiamo sempre amato dai tempi di “Welcome To The Cruel World” (“Gather ‘Round The Stone”). Incredibilmente il suo eclettismo è asservito allo stile personale che rende il tutto vario ma ugualmente omogeneo; e anche quando si rimanda palesemente ai Black Crowes (come in “Get It Like You Want It”, uno dei momenti meno convincenti) si riesce ad assistere a delle vere e proprie perle come gli otto minuti e venti di “Serve Your Soul”, in chiusura del primo disco.
Seguendo lo schema prestabilito, il secondo disco è dominato da una vena di tranquillità malinconica che lascia spazio al volto più introspettivo, armato volentieri della sola chitarra acustica (“More Than Sorry”, il più classico Harper, ma anche il più commovente). Benché meno vario, ma stupendamente arrangiato (a differenza, tanto per fare un confronto, dell’identica cosa tentata dai Foo Fighters nell’ultimo “In Your Honor”), anche questa seconda parte regala diverse perle e pochi riempitivi. Anche perché, guardando Ben Harper negli occhi, riuscireste mai a dire che quello che sta facendo non è assolutamente necessario?
Per la storia della musica contemporanea forse si sarebbe dovuto fermare al “Live From Mars”, ma per la salvezza dell’anima di noi ascoltatori in cerca di una guida verso la pace non è mai abbastanza. Come se la sua weissenborn potesse cullarci con una “Sweet Nothing Serenade” per sempre.