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Manicheo, maniacale, magnifico.
La coda dell’occhio va ora da un lato, ora dall’altro, ed entrambe le visuali hanno vita e, soprattutto, luce propria: “Both Sides of the Gun”, un disco manicheo. Un po’ come dire testa o croce, riconoscendo due anime, diverse ma complementari: una nera, rabbiosa e impegnata, sicuramente black, nel senso più musicale del termine; l’altra bianca, più personale e quotidiana. “Both Sides of the Gun”, un disco realizzato in maniera quasi maniacale dallo stesso Ben, che canta, scrive, produce, suona tutti gli strumenti. Fa praticamente tutto lui, in studio. Cambia dodici chitarre, urla come un disperato, piange, diventa dolcissimo e ci soffia qualcosa nell’orecchio.
“Both Sides of the Gun”, un disco magnifico, in cui ci ritroviamo ancora una volta a sgranare gli occhi sull’ennesimo assolo di slide; in cui incontriamo con piacere quello slancio, deciso e fragile insieme, con cui vengono raggiunte e risolte le note: un allungarsi soffice e, oramai, inconfondibile. E la stessa voce che un momento prima ci aiutava a dondolarci, con calore, sulla nostra amaca fatta di pianoforte e violini, ora scuote con più forza schioccandoci le dita proprio di fronte agli occhi: una scossa non da poco, a tratti stridente e straziante. Sembrerebbe un gran paradosso, ma è una voce che fa anche storcere il naso, quando vuole farsi sentire. Perché di questo abbiamo bisogno: di storcere il naso, di indignarci. Di credere che ci sia un modo migliore di fare le cose.
Manicheo, maniacale, magnifico. Un disco anche maledetto, per tutti quelli che avrebbero voluto mangiarsi il televisore guardando i fatti di New Orleans, e anche per chi si stringe addosso al proprio stomaco pensando a quel “I remember when your kisses were for me”.