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L’Enfance Rouge è in viaggio da anni: e non solo per quell’abitudine tutta loro di dare titoli di tragitti (im)possibili agli album (a parte quello che leggete in testa a questa recensione, ricordo “Swinoujscie-Tunis”, “Resus-Ljubjliana” e “Rostock-Namur”, tra gli altri), e neanche solo per la natura pressoché apolide dei suoi componenti – francesi? Italiani? Chissà… -, ma soprattutto per la volontà di percorrere attraverso la musica un pellegrinaggio morale verso le rovine e le contraddizioni dell’occidente capitalista.
Tutte tematiche che tornano a far sentire il loro peso con forza in questo “Krsko-Valencia” che, tanto per fugare da subito qualsiasi dubbio, è il loro lavoro più maturo, quello dove la composizione acquista una compattezza finalmente completamente soddisfacente.
È difficile, a cavallo tra il nostro paese e i cugini transalpini, trovare una band così capace di mescolare intuizioni prettamente cerebrali (alcune pause sonore, in cui la tendenza avanguardista fa breccia nel muro costruito altrove con estrema perizia) a necessità puramente corporee. Messo da una parte il desiderio di teorizzare attraverso le note – avveniva già nell’elencazione infinita anticapitalista che concludeva “Rostock-Namur” – e all’altro estremo l’urlo belluino che dà il la allo scatenari degli strumenti, il gruppo vive al centro della scena, nell’incrocio tra questi due elementi antitetici. È così possibile farsi fascinare dal rock disossato, dipanato e morente di “Kérosène” oppure bruciare sull’altare della musica del demonio in cavalcate frenetiche e fracassone come “Barrio Chino”. Ma non è solo il rock a influenzare le scelte estetiche del terzetto: ne sono prova schiacciante il jazz oscuro di “Noir Orange”, il cabarettismo sognante di “Chapelle du Sauvage” e “Davos bei Nacht”, l’angoscia sotterranea in odore di Ligeti di “Calle de los Desamparados”, le deformità degne di un Captain Beefheart contemporaneo di “Gaio e giallo”, e il cantautorato seviziato da rumori d’ogni origine e provenienza di “Caracas, Lusaka, Berlin” capace addirittura di improvvisarsi canto collettivo in stile partigiano.
Già, la riflessione politica, altro punto nodale della musica portata avanti nel corso degli anni da François R. Cambuzat, Chiara Locardi e Jacopo Andreini: se non siete convinti di quanto sto affermando non preoccupatevi di ascoltare le tracce dell’album. Andate direttamente alla quattordici, quella che porta come titolo “Colloquio risolutivo sull’Europa Sociale tra il presidente Romano Prodi e il Primo Ministro Cavaliere Silvio Berlusconi” e ascoltate. In quel brano di quindici secondi – dei quali non anticipo il contenuto – è sintetizzato con estrema chiarezza il pensiero politico di questo combo sballottolato tra Parigi e Tunisi, ed è tutto tranne che un pensiero banale, ve lo assicuro.
Torno ad affermare con forza come “Krsko-Valencia” sia il primo album finalmente completo partorito dall’Enfance Rouge (diceva qualcuno che qualsiasi persona ha avuto, durante l’adolescenza, un periodo rosso – il colore va logicamente interpretato in chiave politica -: vedere o meglio sentire qualcuno che anche dopo l’adolescenza non ha perdurato l’ideale è, dal mio punto di vista, confortante). Avevo sempre trovato esagerata la celebre frase che pronunciò dopo averli sentiti Thurston Moore: “Uno dei migliori gruppi europei”. Sono felice finalmente di poter dare ragione al leader dei Sonic Youth (altra band che è stata mandata a memoria dal terzetto, ma la lista sarebbe lunga e varia e ve la risparmio volentieri).
Come si dice, meglio tardi che mai…