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La New Wave sta vivendo, fortunatamente, un periodo di riscoperta pressoché totale, grazie a lungimiranti ristampe dei capolavori che segnarono quella che non ho timore di considerare l’epoca più esaltante della storia della musica rock (sì, ben più importante della psichedelia o del prog, perché capace di metabolizzare tutte le istanze musicali precedenti rileggendole e aprendo la strada a tutto ciò che rappresenta la contemporaneità).
In mezzo alla messe di titoli che tornano a popolare le nostre discoteche la Warner ha deciso di piazzare un pezzo da novanta, ovvero l’intera discografia dei Talking Heads con aggiunta di bonus track e di un dvd ad accompagnare il cd. Rivive così l’epopea della band newyorchese capitanata da David Byrne, che segnò un decennio di vita della Grande Mela. Ciò di cui mi occuperò è l’esordio, “77”, solitamente lasciato indietro nei percorsi critici a favore di titoli quali “Fear of Music” (che rifulge soprattutto per la straordinaria “I Zimbra” marchiata a fuoco dalla comparsata di Robert Fripp) o, soprattutto, “Remain in Light”, dove lo sposalizio con Brian Eno raggiunge il suo apice, grazie anche all’apporto di Jon Hassell. Se è vero comunque che “Remain in Light” sintetizza al suo interno il senso stesso del percorso artistico della band, è altrettanto doveroso notare come “77” racchiuda al suo interno non solo i prodromi della propria autorialità, ma anche e soprattutto il fermo immagine del modo di interpretare il rock nella New York dell’epoca. Più ancora di Sonic Youth e Ramones o del manifesto programmatico “No New York”, sono le note pronte a correre sul liminare del punk di quest’album (e del successivo “More Songs About Buildinmgs and Food”) a rappresentare un intero sconvolgimento musicale che scuoterà dalle basi la prassi occidentale riconducendola in una mostra delle atrocità stressata, dove l’angoscia si sposa al grottesco, l’invettiva politica e sociale sprofonda in un caleidoscopio artistico dalle fogge più impensate.
I Talking Heads del 1977, sposando in parte l’etica punk la mescolano a movimenti funk, facendo dello stop & go una cifra autoriale, con la musica sovrastata dalla voce isterica e sprezzante di Byrne, che declama liriche perfettamente in linea con l’indole della band, danno il la a quell’avventura che li porterà a diventare uno dei volti più rappresentativi e originali dell’intera New Wave. Il gioco intellettuale che Byrne innesca ha in sè qualcosa di esaltante: come non citare, ad esempio, il celebre ritornello che esplode in “Psycho Killer” (il capolavoro musicale dell’album) e che recita “Psycho Killer/Qu’est que c’est/Fa Fa Fa Fa Fa Fa Fa Fa Fa Far Better/Run Run Run Run Run Run Run Away”? Il Mood musicale, capace di mantenersi uniforme senza scadere nella ripetitività (e ricordiamoci che stiamo parlando di un gruppo di venticinquenni esordienti!), diventa durante la lettura retrospettiva, il simbolo di un pensiero comune, di una filosofia, di un perché etico ed estetico. Concetto sottolineato con forza anche nelle solite bonus track “previously unissued”, abitudine (buona? Cattiva? Lascio a voi l’incombenza della risposta) delle ristampe: risplende di luce propria soprattutto l’opera di modernizzare il doo-woop ipotizzata in “I Wish You Wouldn’t Say That”, mentre è curiosa la versione con violoncello (suonato da Arthur Russell) di “Psycho Killer”.
Il DVD che fa da corollario all’album non presenta in sè moltissime chicche a dire il vero: ci sono due estratti live (una splendida versione di “Pulled Up” presa da un concerto del 1978 a Berkeley e “I Feel It In My Heart” suonata al The Kitchen di New York nel 1976, quando la band era ancora un terzetto privo di Jerry Harrison), l’intero album rimasterizzato in 5.1, un’ottima photogallery – che mi fa odiare chi riuscì a vedersi la sera del 13 Aprile sullo stesso palco Talking Heads, Pere Ubu e Suicide – e nulla di più.
Ma in fin dei conti queste sono veramente quisquilie: l’importante è che la gente ascolti “77” (e via via tutti gli altri album della band) e capisca definitvamente la grandezza della musica composta da David Byrne, Jerry Harrison (transfuga dai Modern Lovers), Tina Weymouth e Chris Frantz. Perché le teste parlanti furono, ed è la storia a dircelo, una delle più importanti apparizioni musicali di tutti i tempi.