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Dodicesimo passo verso la perfezione in musica, “At War With The Mystics” rappresenta l’apertura di un nuovo capitolo dell’esperienza sonora dei Flaming Lips. In passato abbiamo assistito, in serie, alle sfuriate punk degli esordi, al contratto Warner e la pubblicazione di “Transmissions From The Satellite Heart”, al geniale punto di rottura di “Zaireeka” (quattro album che devono essere fatti suonare in contemporanea in quanto tutti contengono frammenti diversi delle stesse canzoni) e alla costruzione di un pop onirico e totale con quell’uno-due rappresentato da “The Soft Bullettin” e “Yoshimi Battles The Pink Robot”. Wayne Coyne, fortunatamente, non ha perso l’abitudine di stupire e con qualche colpo di coda fa parziale piazza pulita, sterza a sinistra ed intraprende un nuovo cammino all’insegna della sperimentazione sonora, del pop stratificato e delle melodie onnivore che richiamano territori ad ora poco battuti (come le venature black di “Free Radicals” e “The Sound of Failure…”). Ne risulta un disco per certi versi complicato, che ad un primo ascolto sembra solo un gran casino, ma che sa liberarsi in tutta la sua splendida poesia con canzoni davvero formidabili.
Senza girarci tanto intorno, si tratta del primo grande disco del 2006. E’ ambizioso, non è fine a se stesso e traccia un solco che rischia di diventare indelebile. Non fosse altro perché è sintomo della sempreverde vena creativa della band, ansiosa di percorrere le strade tracciate seguendo l’onda delle note e delle suggestioni. Raramente il pop contemporaneo è stato capace di arrivare a vette creative così elevate (potrei azzardare che musica del genere non si sente dai tempi di “Amnesiac”) e canzoni come “Mr. Ambulance Driver” e “My Cosmic Autumn Rebellion” (incentrata su un crescendo atmosferico da groppo in gola) sono qui a dimostrarlo. C’è il tentativo di unire il Muro di Suono dei precedenti lavori – marchio di fabbrica di Dave Friedman, produttore ormai membro aggiunto della band – alle distorsioni bubblegum di “The W.A.N.D.”, alla disco-music mutante da videogioco Atari di “Haven’t Got A Clue” e alle atmosfere psichedeliche ed aliene di “Pompeii Am Götterdämmerung”. Una conciliazione sulla carta difficile, ma realizzata con una maestria e una passione che, nonostante si tratti di musicisti in giro dal 1983, ha del sorprendente.
Forse sarebbe il caso di dirlo a bassa voce: ma se ci trovassimo di fronte ad un vero e proprio capolavoro?